The Cured, recensione dello zombie-movie con Ellen Page su Prime Video

Uno zombie-movie dall'approccio intimista, ambientato in un'Irlanda in cui il ritorno in società degli infetti guariti è al centro di controversie.

The Cured, recensione dello zombie-movie con Ellen Page su Prime Video
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Per anni, il virus Labirinto ha dilagato in tutta Europa, provocando una violenta psicosi negli individui che ne venivano colpiti. Mentre gran parte del continente è stata in grado controllare l'epidemia, la situazione è invece degenerata in Irlanda, con il morbo che ha contagiato migliaia di persone. È stata infine trovata una cura e nel 75% dei casi il trattamento ha avuto successo nei pazienti, ma in ogni caso i Risanati portavano con loro il doloroso ricordo di quanto avevano compiuto quando erano infetti.
Ora, con il Governo che discute sul destino del 25% resistente alla cura, l'ultima ondata dei guariti è pronta a reintegrarsi nella società. Tra di loro vi è anche il giovane Senan che viene accolto nella casa della cognata Abbie, rimasta vedova dopo che il marito è stato ucciso da uno dei malati in circostanze mai chiarite.

Sangue e anima

Dopo le polemiche relative al primo capitolo di The Last of Us, capostipite dell'amato franchise videoludico di casa Sony nel quale il personaggio di Ellie ricordava non poco le sue fattezze, Ellen Page è finalmente protagonista nel 2017 di uno zombie-movie a tutti gli effetti, seppur lontano dall'anima splatter di genere e aperto a marcate connotazioni metaforiche.
The Cured, frutto di una co-produzione tra Irlanda e Francia e ora disponibile nel catalogo di Amazon Prime Video, è ambientato proprio nel Paese delle verdi vallate - anche se qui siamo nei sobborghi urbani di periferia - e la location non è certo casuale in quanto gli slanci narrativi portano subito all'attenzione i parziali rimandi agli attentati terroristici dell'IRA, uno solo dei tanti elementi che caratterizzano l'aspra vicenda.
Anche la "marchiatura" delle case di chi ha accolto un Risanato richiama il modus operandi delle frange estremiste nei confronti degli ebrei ed ecco perché non ci troviamo di fronte a un semplice film di morti viventi.

I vivi e i morti

Affine nel cuore pulsante degli eventi a un titolo di un paio d'anni precedente come Contagious - Epidemia mortale (2015), con il razzismo crescente che rischia di separare per sempre nuclei familiari colpiti dalla malattia, The Cured punta su una marcata accentuazione del lato drammatico, con gli squarci più action tipici del filone lasciati all'ultima parte, comunque avvincente quanto basta.
Il regista David Freyne, al suo debutto in un lungometraggio e anche autore della sceneggiatura, sfrutta l'horror per parlare di un male contemporaneo che divora dall'interno ancor più che il virus stesso.
Il sentimento di paura con il quale le persone normali osservano i guariti, che potevano essere amici o parenti, è in parte giustificato ma altrettanto foriero di nuove e inutili tensioni che portano a un ulteriore degenero.
La politica e l'esercito sono alla ricerca della soluzione più facile e la popolazione è strangolata tra l'insicurezza e la speranza, sensazione esposta tramite la fotografia grigia e cupa che ben esemplifica i sentimenti delle figure coinvolte.

Un paio di colpi di scena, pur introdotti già dai primi secondi tramite i diversi flashback del personaggio di Senan, e una discreta cura nel make-up e nella messa in scena della violenza zombie garantiscono alcuni momenti ad alto tasso tensivo, ma lo spettacolo qui è dichiaratamente messo in secondo piano rispetto al messaggio.
Una scelta che convince pur privando l'operazione di una certa mancanza di ritmo in alcuni passaggi e un maggior equilibrio avrebbe forse centrato il bersaglio in maniera ancora più incisiva.

The Cured Il senso di opprimente spaesamento impera nei novanta minuti di visione di uno zombie-movie atipico, marcatamente ricamato su una vena intimista che utilizza gli infetti - e anche i guariti - a simbolo dei diversi e delle paure che spesso contaminano ampi strati della società. The Cured a volte calca eccessivamente la mano sul messaggio e a pagarne dazio è il ritmo, parzialmente ingessato nella fase centrale, laddove echi dell'IRA e dei vagiti neo-nazisti fanno capolino, ma alla resa dei conti complessiva l'operazione pareggia le lacune grazie alle solide performance del trio di protagonisti (formato da Ellen Page, Sam Keeley e Tom Vaughan-Lawlor) e a un'escalation tensiva che nella parte finale si lascia finalmente andare nelle attese scorribande di genere.

6.5

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