The Ballad of Buster Scruggs, la recensione: il vecchio west secondo i Coen

I Coen tornano nel vecchio west, affrontando i topoi più classici in un film a episodi di ottima fattura e scritto con una carica grottesca da premio.

The Ballad of Buster Scruggs, la recensione: il vecchio west secondo i Coen
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Nell'agosto dello scorso anno, il 2017, su tutti i media internazionali è rimbalzata una notizia a dir poco clamorosa: i premiati fratelli Coen avrebbero realizzato una serie TV in esclusiva per Netflix. Un ciclo di episodi legati da un filo comune ma completamente autonomi: quel filo sarebbe stato la frontiera americana e tutte le storie che, nel corso dei secoli, ha generato e tramandato.
Gli autori di Fargo sarebbero dunque tornati a parlare del vecchio west, realizzando una sorta di antologia tematica che avrebbe toccato i topoi del genere. Dall'annuncio della serie è passato un anno esatto e il progetto originario è molto cambiato, perdendo la struttura seriale e diventando un vero e proprio film unico a episodi.
Un vecchio libro sgualcito da sfogliare, letteralmente, storia dopo storia, che prende il titolo di The Ballad of Buster Scruggs, nome del protagonista della prima storia e - idealmente - il cantore generale dell'opera.

La forza del grottesco

Fare un resoconto generale è tutt'altro che semplice, poiché le sei storie che compongono il film nella sua interezza sono tutte diverse, nei contenuti, nello stile e nei toni. Procediamo dunque per gradi, arrivando a tirare le somme soltanto all'ultima pagina del libro.
Il primo impatto riguarda Buster Scruggs in persona, personaggio surreale che dà il via alle danze strimpellando spensierato, in totale solitudine, una canzone alla chitarra nel bel mezzo del deserto. È infatti famoso per essere un cantore, un menestrello di frontiera, anche se l'arrivo in una cittadina lungo il suo percorso mostra tutto un altro lato dell'uomo.
Scopriamo che le sue dita sono tanto aggraziate nello spostare le corde degli strumenti quanto spietate nel premere grilletti alla velocità della luce, un talento che presto lo mette nei guai. Per sua stessa ammissione, "arriva sempre, presto o tardi, qualcuno più bravo di te", un insegnamento di vita malinconico ma spesso veritiero, che ci mostra il carattere di Scruggs nella sua interezza.
Parliamo di un personaggio epico, leggendario, nella sua semplicità (e nei suoi abiti bianchi immacolati, insozzati soltanto dalla polvere), ironico e surreale all'estremo, che fa divertire con gusto le platee grazie a una pistola fumante e a una lingua tagliente.
Incarna svariati cliché del genere, esasperandoli, prendendo in giro l'infallibilità di alcuni eroi del western classico e tracciando il solco generale per comprendere le storie che seguono, sempre al limite del reale e con una sana dose di ironia e dramma fra le righe.

Banche e miniere d'oro

A tal proposito fa la sua comparsa un glaciale James Franco, negli scomodi panni di un ladro di banche. La sua fronte piena di sudore se ne sta sotto il sole a contemplare una filiale minuscola, quasi ridicola, la preda perfetta per una rapina mordi e fuggi. Peccato che alla cassa se ne sta un piccoletto curioso che ha già subito diversi furti in passato, e sappia come gestire una situazione di pericolo.
Questo è il giusto espediente per prendere in giro storyline classiche del filone western, con rapine a mano armata all'ordine del giorno. Il nuovo west dei fratelli Coen però non è tutto scherzi e ironia, i capitoli seguenti si fanno gradualmente più seri, arrivando all'episodio finale costruito interamente su dialoghi raffinati e immagini mentali, null'altro - vero e proprio esercizio di stile che piacerà ai fan più seriosi del duo.
Prima però c'è da partecipare alla corsa all'oro, altro tormentone della frontiera, in compagnia di un anziano cercatore d'oro che non si arrende di fronte a nulla. Sullo schermo, l'uomo è in realtà un irriconoscibile Tom Waits, per la felicità di tutti i suoi ammiratori più incalliti. Il suo segmento è uno dei migliori, come un cerchio perfetto si apre e si chiude in maniera rigorosa, riservando non poche sorprese allo spettatore.
Sotto i riflettori tre temi principali: la costanza con cui l'uomo, per sopravvivenza o ingordigia, ha devastato ambienti naturali di immane bellezza, la determinazione nel portare a termine una passione o un obbiettivo, l'ingiustizia che regola il mondo, sempre pronta a colpire alle spalle.

L'epopea del diverso

Le vette più alte del film si toccano però, probabilmente, con l'episodio che si regge sulle solide spalle di Liam Neeson e del collega Harry Melling, nei panni di un teatrante e un freak che girano di villaggio in villaggio proponendo uno spettacolo sui generis, intellettuale e profondo, non sempre apprezzato dai burberi e sempre in bilico, minacciato da nuove attrazioni più immediate e superficiali.
In questo si nasconde un po' l'origine, almeno in sceneggiatura, della decadenza intellettuale contemporanea, iniziata ben prima dell'avvento della televisione e dei social network. Inoltre, in seguito a uno snodo di trama che non vi raccontiamo, si annienta qualsivoglia sentimento umano, con i freak e i "diversi" trattati come se fossero dei meri oggetti.

Si arriva così al segmento più lungo, che segue il complicato viaggio di una giovane donna (l'unica di reale spessore, a dire il vero, dell'intero film) che attraversa il Paese per cercare fortuna (e un marito) altrove. Viaggiare all'epoca non era certo come spostarsi oggi, con tutte le comodità e in modo ultra veloce; toccava seguire le lente carovane, i carri a passo d'uomo, affrontare la minaccia costante degli indiani d'America, sanguinari e spietati, abbiamo dunque un'intensa avventura da vivere.
Come anticipato preventivamente, con l'episodio finale tutto si sposta nell'ambiente chiuso e oppressivo di una carrozza, in cui a farla da padrone sono i dialoghi e le eccellenti interpretazioni del cast, fra cui spicca Brendan Gleeson.

The Ballad of Buster Scruggs Il risultato finale è un'opera particolare, dalla resa visiva eccezionale, pronta a rendere giustizia al 4K offerto da Netflix. A spiccare però è il modo in cui le varie storie vengono trattate, che risultano non a caso sempre diverse, con toni e temi cangianti. Anche l'eccezionale cast, alquanto numeroso, porta numerosi punti alla produzione, che regalerà più di un sorriso agli abbonati della grande N. C'è però anche tanto da pensare, tanto da elaborare, la scrittura dei Coen è geniale e tagliente in ogni suo momento, così come la regia è ragionata e mai lasciata al caso. Forse la struttura seriale avrebbe dato più respiro e risalto alle singole storie, che così sono invece ammassate in un unicum inframezzato dalle pagine di un libro, ma confidiamo che i Coen possano raccontare ancora tanto del vecchio west, magari in una "seconda stagione" a episodi separati.

7.5

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