Recensione The Artist

Una storia d'amore 'muta' eppure incredibilmente eloquente

Recensione The Artist
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Un progetto ambizioso nato in sordina e dato sulla carta già perdente dal circuito produttivo e che invece si sta guadagnando il titolo di rivelazione dell'anno (ha già fatto vincere la Palma d'Oro per la migliore interpretazione maschile a Jean Dujardin e ora si prepara forse alla corsa all'Oscar). Il regista francese Michel Hazanavicius, già largamente apprezzato in patria per OSS 117 - un pastiche di spy stories parodiche - sembra aver fatto davvero centro con The Artist, film muto che narra l'odissea di un artista degli anni '20 scalzato dall'avvento del sonoro e ostacolato nell'amore da un orgoglio quasi irrazionale. Un omaggio al cinema muto di grandi maestri come Fritz Lang, Ernst LubitschMurnau che riesce però a superare l'anacronismo di un lavoro che vive e parla del passato, restituendoci la modernità di una storia d'amore resa pura dall'assenza di dialoghi, narrata solo dalla fusione di sguardi e gesti immersi in un bianco e nero che muta d'intensità a seconda dello stato delle cose: il lucido contrasto dei momenti felici e il confuso ingrigirsi dei momenti più bui. Sorprendente scoprire come, in un'epoca di roboanti produzioni in cui la voce spesso sovrasta le emozioni reali, un film sia in grado di riportarci alla pura essenza di certi attimi, pietre fondanti di un sentimento non contaminato dalla ridondanza che - di fatto - spesso appartiene al parlato.

George Valentin e Peppy Miller

Hollywood 1927. George Valentin (Jean Dujardin) è un divo del cinema muto all'apice del successo. Richiestissimo dalle produzioni e amatissimo dal pubblico, Valentin sembra aver però riposto in quell'incontrastato successo anche le sue aspirazioni di uomo, riponendo nell'orgoglio artistico e umano tutta la sua potenza. Ma gli anni '30, e anche la Grande Depressione, sono alle porte, così come l'avvento del sonoro che troverà Valentin impreparato e forse anche inadatto a quel cambiamento. E quando la sua vivace espressività da attore del muto sembrerà non interessare più a nessuno, e le case di produzione (in particolare quella del produttore Al Zimmer - il sempre bravo John Goodman) inizieranno a sbattergli la porta in faccia senza riserve, il suo orgoglio unito alla depressione per quella ‘rinnegazione' lo faranno sprofondare in una crisi esistenziale senza via d'uscita. Nel frattempo, Peppy Miller (Bérénice Bejo), una giovane e briosa ragazza conosciuta per caso - da Valentin - all'uscita da una prima, sembra essere invece in procinto di spiccare il volo. Da semplice ballerina, grazie proprio all'avvento del sonoro, la ragazza si sta infatti trasformando in una star di primo livello, che per un sadico gioco del destino, sta per prendere nel cuore del pubblico il posto dell'oramai negletto Valentin. Il tempismo amoroso appare dunque ancora una volta sfavorevole: se in prima battuta Valentin era così preso da sé stesso per lasciarsi rapire dal fascino di una soubrette, ora, caduto in disgrazia - economica e umana -, il suo incrollabile orgoglio non può lasciare che quella stessa ragazza lo salvi dalla presunta miseria che lo attende.

Dolorose epoche di transizione

Pur nell'assoluta diversità di forma e stile, The Artist sembra allacciare un sottile legame con un altro film (d'animazione) francese di qualche tempo fa, ovvero L'illusionista di Sylvain Chomet. Due opere che condividono la nostalgia intrinseca allo stato stesso dell'essere artista, il cui successo è sempre subordinato alle mode, ai gusti e alle simpatie dell'epoca in corso. La dolorosa scoperta, da parte di un artista, di non essere più così amato e celebrato come un tempo, è di fatto un dramma umano difficile, a volte impossibile, da metabolizzare. E mentre L'illusionista di Chomet vagava tra Parigi e la Scozia (assieme a una bambina-amica che sarà poi fondamentale al percorso di riabilitazione) alla ricerca di un nuovo sé stesso, l'artista di Hazanavicius (sempre in compagnia di un fido cagnolino che infine - altro parallelo - gli salverà anche la vita) rimane impantanato in una Hollywood che prima lo adorava e adesso lo rinnega, rifiutando l'aiuto dell'unica persona che ha sempre e comunque creduto in lui. Due storie che corrono parallele ma in due epoche diverse (anni '20 e anni '50) e che narrano la difficoltà di mantenere la propria dignità artistica soprattutto nei momenti di transizione in cui ogni certezza traballa. Michel Hazanavicius confeziona una pellicola raffinata e rifinita, che poggia sulla dote espressiva di due protagonisti sinceramente affiatati, su un cane che (qui privo di voce come tutti gli altri) diventa vero attore, su una trama musicale capace di enfatizzare tutte le emozioni delle immagini (bellissima la scena in cui lei si abbraccia nella giacca di lui). Doveva essere un film per pochi ‘intimi', e invece, a sorpresa, sembra essere un film davvero per tutti: la magia del muto che si compie tramite la bacchetta dell'artista.

The Artist Michel Hazanavicius arriva in sala con un film muto, in bianco e nero, anacronisticamente moderno, e magico. Una storia d’amore d’altri tempi, o di tutti i tempi, raccontata solo attraverso la malia delle immagini, senza la contaminazione delle parole. La purezza di sguardi e sentimenti che s’incrociano restituisce così tutta la bellezza di un dramma esistenziale (quello di un artista caduto in disgrazia) che si tinge di rosa grazie alla scintilla amorosa, duramente ostacolata dalla circostanze. Bravi interpreti e un’ottima regia, senza sbavature, fanno di questo film un racconto universale davvero capace di entrare negli occhi e nel cuore del grande pubblico.

8.5

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