Recensione The Armstrong Lie

La carriera ciclistica e l'assunzione di sostanze dopanti da parte di Lance Armstrong raccontate in un documentario

Recensione The Armstrong Lie
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The Armstrong Lie non è uno, ma due documentari montati tra loro. L'apprezzato documentarista statunitense Alex Gibney iniziò ad interessarsi al caso del ciclista Lance Armstrong nel 2009, quando seguì da vicino il suo ritorno al Tour de France dopo una parentesi di riposo conseguente alle sette vittorie consecutive della corsa a tappe francese tra il 1999 e il 2005.
L'intento iniziale era quello di raccontare la sua fame di tornare a vincere e la sua grinta mai fiaccata dall'età che avanza e dai postumi di un cancro al testicolo in gioventù.
Poi il patatrac. Nel 2012 Armstrong confessa ad Oprah di aver fatto uso di sostanze dopanti durante tutti gli anni in cui ha trionfato al Tour de France: le accuse avanzate durante tutti quegli anni erano assolutamente fondate.
C'è l'Armstrong del 2009, acciaccato ma con la fedina penale (ancora per poco) pulita, e c'è l'Armstrong del 2013, sotto accusa, condannato e arrogante.
In The Armstrong Lie, presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Gibney ricostruisce l'intera carriera del ciclista, osservandolo da vicino, ma cercando anche di fornire un giudizio il più possibile oggettivo.
Un intento che vale la maglia gialla?

Le Roi Americain

Già all'età di 12 anni Lance Armstrong era una promessa del ciclismo a stelle e strisce. Aveva grinta, aveva un fisico atletico e vinse abbastanza da entrare nel circuito professionistico. Tra il 1992 e il 1996 partecipò a 4 Tour de France, completandone a malapena uno, prima che gli fosse diagnosticato un cancro ai testicoli.
Sottoponendosi a cure sperimentali non solo riuscì a guarire da questa malattia, ma anche a tornare in sella. "Quando potei fare il giro dell'isolato, mi sentii libero come un bambino il quale può evadere dal controllo dei genitori per la prima volta a cavallo di una bicicletta".
In breve tempo questa meravigliosa storia divenne leggenda, quando Armstrong col team US Postal vinse 7 Tour de France consecutivamente. Un risultato ottenuto in maniera apparentemente pulita, superando in bravura tutti i grandi ciclisti di quel decennio. Pantani incluso.
Ma erano veramente tutte vittorie pulite? No, mai. Armstrong seguì una dieta prescrittagli dal dottor Michele Ferrari, la quale prevedeva anche una piccolo quantitativo di sostanze dopanti: cortisone, trasfusioni di sangue ed EPO che moltiplicavano i globuli rossi nel sangue, così da fargli guadagnare anche solo il 10% in più degli avversari.
I controlli si potevano evitare allora ed Armstrong ebbe sempre questa fortuna (coincidenza?) dal momento che tali sostanze si dissolvevano nell'organismo nel giro di 4 ore, non risultando di fatto visibili ai controlli medici.
Dopo un simile ciclo di vittorie, Armstrong decise di ritirarsi dal ciclismo, per poi ritornare nel 2009 con il team Astana: pensava che una sua vittoria al Tour avrebbe messo a tacere tutte quelle accuse sull'utilizzo di sostanze dopanti. La necessità di dimostrare nuovamente di essere il più forte e la spietata rivalità con Alberto Contador, facente parte dello stesso team di Armstrong per giunta, fecero fare al corridore statunitense una magra figura.
A questo punto esplose il caso, le accuse sventagliate da giornali e libri divennero prove giudiziarie, che portarono le autorità sportive statunitensi ad una sua radiazione a vita da qualsiasi competizione sportiva.

Diritto di parola

L'approccio di Alex Gibney alla vicenda è multiforme. Ora che si ha la certezza che il ciclista "barò" durante tutti i Tour vinti, si può permettere a lui di fornire la propria versione dei fatti ("le due verità" le definisce Armstrong), prontamente controbilanciata da altri testimoni diretti come l'ex-moglie e l'ex-compagno di squadra, ma anche giornalisti, scrittori, membri dello staff tecnico e così via.
Il regista mette poca della sua logica al servizio della ricostruzione dei fatti (peraltro queste sezioni sono forse troppo tecniche e decisamente confuse), lasciando che siano i protagonisti ad accusare oppure parare il colpo. In effetti c'è come l'ansia di presentare entrambi i lati della medaglia, quasi da convincere lo spettatore ad ergersi a giudice della contesa, risparmiando così il regista dall'accusa di aver sodalizzato troppo con Armstrong, come effettivamente apparirebbe dalle sequenze girate in prima persona durante il Tour de France del 2009. Una scappatoia non troppo onesta, nonché un accumulo di nozioni, dichiarazioni ed esposizioni che appesantiscono il documento filmico e lo portano fino ad una durata di 2 ore francamente eccessiva per un documentario.
In cabina di montaggio il lavoro è discreto. Il materiale originale in termini di qualità visiva e pulizia è ragguardevole, raggiunge imponenti vette nel girato del 2009 e discrete nei vari filmati di repertorio o nelle interviste raccolte durante gli anni.

The Armstrong Lie The Armstrong Lie è un documentario che tutti gli appassionati di ciclismo dovrebbero guardare. Dietro la vicenda di Lance Armstrong, la sua sete di vittorie e la sua arroganza, si nasconde una brutta piaga che da alcuni anni affligge tale sport. Il doping è subdolo, potenzia quanto basta il corpo dell'atleta e nel giro di qualche ora è riassorbito dall'organismo. Ma evidentemente non si possono riassorbire anni di bugie, escamotage per evadere i controlli medici, la 'semplice' faccia tosta nel negare tutte le accuse dei media e delle autorità giudiziarie sportive. Affermare che tutti i ciclisti si dopano non è un modo signorile per giustificare la propria tenuta, signor Armstrong! Il documentarista Alex Gibney lo ha discretamente compreso e altrettanto discretamente impresso su pellicola.

7

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