Recensione The air I breathe

Un film ambizioso caricato di troppe responsabilità.

Recensione The air I breathe
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La zuppa di ortaggi

Jieho Lee, classe 1973, è un regista giovane e ambizioso. The air I breathe, A.D. 2008, è un film altrettanto giovane e ambizioso. Il primo ha messo troppa carne al fuoco quando ha scritto il secondo, tentando un percorso intellettuale e avvicinando e attirando il pubblico con un cast di superstar Hollywoodiane.
Il tutto è poi condito con una salsa dal gusto postmoderno, in forte contrasto con l'aura da cinema “impegnato” di cui “The air I breathe” vorrebbe rivestirsi. Come in una sorta di grande brodo primordiale dove vengono gettati “Slevin-patto criminale”,”11.14” e tutto il filone sul cinema esistenziale che tanto piace ai più anziani, “The air I breathe” non mantiene le promesse e, dopo una partenza col botto, cade a picco nel baratro.

Deja vu

La vita, secondo un antico proverbio cinese, è composta da quattro elementi: Felicità, Piacere, Dolore ed Amore. Il film divide e intreccia una ad una queste sensazioni attraverso i protagonisti che le rappresentano, muovendosi tra frasi ad effetto artefatte ed emozioni surgelate.
Forest Whitaker è “Felicità”: un uomo scopre se stesso abbandonando le inibizioni che lo hanno accompagnato per tutta l'esistenza e trovandosi, per la prima volta, di fronte ad un mondo tetro ma vivo. Brendan Fraser è il “Piacere”, lo scagnozzo più fidato di un malavitoso (interpretato da Andy Garcia), in grado di prevedere il futuro ma non la propria vita.
Sarah Michelle Gellar, glaciale come suo solito, è la protagonista di “Dolore” e veste i panni di una mega popstar isterica, abbandonata dal proprio produttore che finisce, poi, tra le mani di un potentissimo "uomo d'affari" senza scrupoli.
Kavin Bacon è invece l'”amore”: un medico innamorato di una donna (d'altri) che tenta di salvarla nel giro di 24 ore.

Da MTV al grande schermo

Jieho Lee viene dal mondo dei videoclip musicali e si vede: ha un modo di utilizzare la cinepresa che ricorda moltissimo Paul mcGuigan per dinamicità, virtuosismo e caratura tipicamente postmoderna. Il problema è che questa attitudine si riflette anche nella sceneggiatura, nella quale il tentativo di fondere un estetismo fresco ad un canovaccio pseudointellettuale risulta fallimentare, presentando come unico risultato un banale agglomerato di baci perugina, peraltro scaduti da un paio d'anni.
E pensare che alcuni elementi potevano essere sviluppati in maniera eccezionale visto che determinati aspetti sono stati affrontati in maniera tutt'altro che scontata: “Felicità”, ad esempio, ricorda palesemente la novella pirandelliana “il treno ha fischiato”, rivestita, però con un abito più fresco e, perchè no, più violento.
Anche la parte recitata da Fraser porta avanti degli spunti interessanti senza perdersi troppo nel mare di banalità di cui Lee inonda la sua personalissima oasi nel deserto nelle ultime due storie.
La Gellar invece, uscita dal ruolo di ammazzavampiri che l'ha resa famosa, non è ancora riuscita a dimostrare di essere, oltre che carina, anche una buona attrice, regalandoci un'interpretazione degna al massimo di un Razzie Awards.
L'ultima tranche si mantiene sulla soglia della mediocrità, con più infamia che lode per un Kavin Bacon che grida come un forsennato in una scontatissima corsa contro il tempo.
A quanto pare fare del buon cinema postmoderno non è poi così facile come qualcuno sostiene, in modo particolare quando si tenta di accostare al genere, che di per sé è quanto di più lontano dal cinema d'autore esista, delle tematiche a rischio banalità come il senso della vita o altri interrogativi di “Bergmaniana memoria”, esperimento già afftontato da altre pellicole come “I love huckabees” o “Vero come la finzione”.
“The air I breathe” rimane però tecnicamente ineccepibile nonostante le banalità della sceneggiatura. Nulla di particolarmente eccezionale diranno alcuni ma, sicuramente, Jieho Lee saprà dirci e darci di più la prossima volta visto che ha dimostrato se non altro di avere le potenzialità per poterlo fare.
Noi, con un pizzico di fortuna, saremo ancora qui.

The Air I Breathe “The air I breathe” è un film che piacerà a molti: la valanga di zucchero e di frasi fatte entusiasma il pubblico e l'incastrarsi delle vicende lo fa innamorare, ma guardandolo con occhio critico ci si rende conto che, per quanto le idee di fondo possano essere buone, il lavoro rimane ancorato a quella schiera di pellicole che, camminando sulla sottile linea che divide il buon cinema da quello cattivo, restano tagliate in 2 a causa del troppo peso di cui erano caricate. Ma, ripetiamo, per molti potrebbe essere un gran film, quindi sentitevi pure in diritto di aggiungere punti dal voto finale. Forse, inconsapelvolmente, Jieho ve ne sarà grato.

6.5

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