Recensione Tekken Il Film

Il torneo del Pugno di Ferro in un film che colpisce a vuoto

Recensione Tekken Il Film
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Dopo i due film, pessimi, dedicati a Street Fighter, era inevitabile che anche la saga di Tekken, eterna rivale videoludica del "combattente da strada", vedesse una sua trasposizione su grande schermo. Ed ecco così che i sempre più "originali" produttori americani hanno compreso la classica ricetta dell'incasso facile: un film dal budget esiguo (35 milioni di dollari, oggi un'inezia nel campo delle pellicole d'azione), con volti per lo più sconosciuti ed esordienti, e un regista proveniente dal mondo televisivo. Insomma, l'aspirazione a ottenere congrui incassi con il minimo sforzo era palese, soprattutto puntando sul mercato dell'home video. Se questa trasposizione avesse un senso "artistico" o quanto meno un motivo di esistere come prodotto cinematografico, questa introduzione sarebbe stata del tutto fuori luogo nonchè un'inutile esposizione dell'ovvietà attuale, ma naturalmente, come i più forse si aspettavano, non è così.

Pugno di Ferro

2039. Il mondo è stato semi-distrutto dalle guerre mondiali. I territori non sono più in mano a organizzazione governative, ma a diverse corporazioni. La più potente è la Tekken corporation, che controlla il Nord America, e fa capo al vecchio Heihachi Mishima (Cary-Hiroyuki Tagawa). Heihachi, per placare le masse (condannate alla povertà e alla miseria in città alla rovina), ha istituito un torneo di arti marziali, l'Iron Fist. Heihachi provoca però le invidie del suo ambizioso figlio Kazuya (Ian Anthony Dale), che mira a prendere in breve tempo il posto del padre. Nel frattempo conosciamo Jin Kazama (John Foo), un combattente di strada e contrabbandiere, che vive in una piccola casa con la madre Jun (Tamlyn Tomita), che lo ha istruito sin da piccolo alle arti marziali. Jin non ha mai conosciuto l'identità del padre, sapendo solo dalla madre che morì prima della sua nascita. Jun inoltre è sempre stata convinta oppositrice della Tekken, impedendo al figlio, bramoso di gloria, di partecipare in alcun modo al torneo. Le cose cambiano quando la donna viene uccisa dai militari che erano sulle tracce di Jin, e così questi, deciso a vendicarsi a tutti i costi, si iscrive alla competizione (il vincitore, come premio, avrà l'onore di sfidare lo stesso Heihachi) e ben presto diventa un eroe del popolo, unico tra i contendenti a venire dalla gente comune. Ma il suo cammino è appena cominciato, e sulla sua strada troverà temibili combattenti, sia tra le fila amiche ma soprattutto in spietati avversari.

Round 1: Fight! You lose...

Già dai titoli iniziali si comprende la rozza superficialità con cui Tekken è stato realizzato. Una scena d'azione di livello dozzinale, tra improbabili sparatorie e fughe rocambolesche, che mette in mostra tutte le carenze registiche di tale Dwight H. Little, regista di svariati episodi televisivi e dell'orrido Anaconda 2. E' infatti ingenuo e fastidioso l'accompagnamento di una colonna sonora di rock duro ad accompagnare la prima scena, cercando di far risaltare l'impatto sonoro su quello, scarso, delle immagini. Poco dopo si viene a conoscenza dei protagonisti, e se si può anche accettare la scelta di John Foo per il ruolo di Jin, relativamente somigliante alla controparte videoludica, non si può scoppiare in sonore risate alla prima apparizione di Heihachi, assolutamente "irresistibile" in un make up posticcio e totalmente fuori luogo che gli toglie qualsiasi parvenza di personalità. Tralasciando anche altri volti noti della saga, che lasciano ampiamente a desiderare, lo stesso si può dire per la loro caratterizzazione, che rimane appena abbozzata e anche malamente, con figure come le sorelle Williams, Eddy Gordo e Yoshimitsu relegati a vere e proprie macchiette, inseriti più per fare presenza che per un reale coinvolgimento ai termini della storia. La trama risente di una sceneggiatura lacunosa, che oltre a dimenticarsi di alcuni personaggi il cui destino rimane alla fine ignoto, è figlia di forzature e costrizioni per rendere il plot originale, difficilmente trasportabile in una continuità cinematografica organica (ma questa, va detto, non è una scusante), adatta al grande schermo, finendo per culminare nella classica battaglia Povertà-popolo-giovane eroe vs Potere-corporazioni-spietato tiranno che stanca e annoia per la sua scontata prevedibilità. A questo punto, nella sua cercata demenzialità (vogliamo sperarlo, il contrario sarebbe da menti "troppo" malate), l'operazione DOA era più riuscita nella sua falsamente celata carica erotica di tette e culi ballonzolanti. In Tekken rimangono solo i combattimenti, realizzati discretamente, ma che da soli non possono certo bastare a giustificare l'ennesima operazione lucrativa che, facendo perno sulle speranze e l'interesse potenziale dei fan del videogioco, punta al risultato facile col minimo sforzo. Quello massimo, è destinato a chi si accinge alla visione.

Tekken Ed ecco l'ennesimo film tratto da un videogame che delude totalmente le aspettative. Tekken si dimostra un picchiaduro videoclipparo la cui unica possibilità di interazione è limitata allo sguardo, nonostante l'istinto possa portare più volte le mani a un fantomatico joypad immaginario. Attori il cui carisma è superato da quello pixelloso delle scene in CG del gioco originale, in un contesto deprimente figlio di una storia forzata cui è impossibile appassionarsi. Il Pugno di Ferro qui ha colpito a vuoto.

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