Sucker Punch, la recensione del ritorno di Zack Snyder

Zack Snyder ritorna, visionario come non mai, in Sucker Punch: la nostra recensione completa.

Sucker Punch, la recensione del ritorno di Zack Snyder
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Chiudi gli occhi. Libera la mente. Non sei pronto”.
Effettivamente, ogni volta che Zack Snyder ci permette di mettere gli occhi su una sua creatura filmica, è una (piacevole) scoperta.
Regista oramai di culto, dimostratosi tra i più capaci a trasportare su schermo soggetti non originali (basti citare 300 e Watchmen), Snyder è ora alle redini di un progetto tutto suo, scritto a quattro mani con Steve Shibuya: un progetto ambizioso, visionario, di nome Sucker Punch.

When reality is a prison, your mind can set you free.

Babydoll (Emily Browning) è ingiustamente prigioniera. E' come una bellissima principessa, rinchiusa in una torre guardata da un drago e piena di pericoli. Ma nessuno verrà a salvarla.
La sua unica speranza di salvezza è lei stessa. Anche altre quattro ragazze sono nella sua stessa situazione: la determinata Rocket (Jena Malone), l'apparentemente scontrosa, ma in realtà dolce, sorella della stessa, Sweet Pea (Abbie Cornish), l'emotiva Blondie (Vanessa Hudgens) e la speranzosa Amber (Jamie Chung). In collaborazione con loro, Babydoll da' il via ad un folle piano di fuga che prevede il recupero di cinque particolari artefatti. La missione è rischiosa, il tempo a disposizione è contato: la salvezza di Baby e delle altre ragazze dipende solo dalla propria volontà di sopravvivenza.

You will be unprepared

Sucker Punch, fondamentalmente, è un film d'azione, ma non si limita a questo, andando a scavare nei generi e crogiolandosi in un'estetica e in un citazionismo che spazia dal culturale al profondamente otaku. Lo stesso Snyder l'ha definito, sinteticamente, “Alice nel Paese delle Meraviglie con le mitragliatrici”, ma neanche questo rende l'idea del concept del film.
Il senso della pellicola, in effetti, sta tutto nel suo titolo, forse un po' oscuro per il pubblico italiano. Un “sucker punch” (letteralmente, “pugno da lattante”) è un colpo improvviso: non sei preparato quando ti arriva in faccia, non te ne accorgi...se non quando te lo sei già preso sul grugno, e lo assapori al ralenty, sapendo già che il dolore lo sentirai dopo. In sé è il colpo più semplice, per certi versi banale, del mondo. Eppure è più efficace di tanti altri più complessi.
Proprio come il film: banalizzando, potremmo addirittura dire che la costruzione del plot è solo una scusa per dare a Snyder la possibilità di dar libero sfogo all'estro personale e alla rielaborazione di un'estetica, eterogenea quanto capace di rapire con estrema meraviglia.
La costruzione scenica appare, spesso, forzata, con un calcolo estremo di tutto ciò che lo spettatore deve vedere e cercare di immagazzinare, spesso anche con sforzo, dato l'overflow di informazioni e citazioni visive su schermo.
In poche parole, i detrattori dello stile Snyderiano non mancheranno di dire che la storia di Babydoll e delle sue compagne di ventura è solo una scusa per creare delle scene d'azione epiche e senza freni, fin troppo piene di effetti digitali tanto curati quanto calcolatissimi. Ed è innegabile.

If you don't stand for something, you'll fall for everything

Il fatto è che quest'orgia visiva ha un suo senso logico, per quanto forse un po' scontato, ma è orchestrata in maniera magistrale, come in una grande partitura, senza una nota musicale fuori posto. E proprio la musica la fa da padrone, contribuendo al già grande straniamento provocato dalle immagini e dalla fotografia di Larry Fong con una colonna sonora assolutamente grandiosa, curata da Tyler Bates e Marius de Vries, che mixa sonorità moderne e retrò con grazia mista a sperimentalismo.
Altrettanto ispirate appaiono le scenografie, ad opera del veterano Rick Carter, fautore delle ambientazioni di classici come Forrest Gump, o Ritorno al Futuro parte II e III, e già a suo agio nel fantasy sfrenato poiché autore anche delle scenografie fantastiche che tanto hanno contribuito al successo dell'Avatar di James Cameron. Dalle trincee ai castelli fantasy, dai terrificanti manicomi anni '50 ai templi nipponici, passando per i bordelli di lusso della prima metà del novecento, si rimane intrappolati nelle visioni di Babydoll senza via di scampo.
L'estetica è totalizzante, e presenta alcune delle più belle scene e creature in CG mai viste al cinema. Risulta evidente il debito di Snyder nei confronti degli anime giapponesi, foss'anche solo nella scelta di mettere cinque bellissime e invincibili “scolarette” a combattere, in mondi fantasy, draghi e samurai alti tre metri. Tutte e cinque le protagoniste risultano inoltre parecchio bad-ass, con punte che neanche la Jolie e la Jovovich dei tempi migliori. Non di tutte la psicologia è esplorata a dovere, ma il colpo d'occhio è qualcosa di formidabile, e crediamo volesse essere il primo obiettivo del regista, da sempre specializzato in immagini evocative. E difatti questo film non lesina certo in trasporto emotivo, se si è disposti a lasciarsi trasportare nel mondo di Babydoll, fin dalla stupenda intro fino ai bellissimi titoli di coda.
E se l'interpretazione delle cinque protagoniste è convincente e sensuale, un valore aggiunto sono le performance degli adulti presenti nella pellicola, da una splendidamente in forma Carla Gugino all'affidabile mentore Scott Glenn, per terminare con un villain convincentissimo come Oscar Isaac.

Sucker Punch Belle ragazze così bad-ass da far sembrare Angelina Jolie la Cuccarini, adrenalinici combattimenti fuori di testa in mondi fantasy extra dimensionali, grandi interpretazioni, una colonna sonora strepitosa e citazioni a go-go: crediamo che Tarantino darebbe una mano per fare qualcosa del genere. E pensare che il tutto è costato “solo” ottanta milioni di dollari, una cifra tutto sommato bassa per tirar su una cosa simile. La prima opera completamente propria di Snyder si dimostra così visionaria, ispiratissima e appagante, seppure fortemente retorica e apparentemente incapace di creare dei personaggi originali. Ma è una giostra talmente totalizzante che le si perdona l'ingenuità strutturale, in favore dell'esperienza.

8.5

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