Recensione Stung

Supervisore degli effetti visivi di Melancholia di Lars von Trier, Benni Diez esordisce dietro la macchina da presa immergendo con Stung un invecchiato Lance Henriksen in un party trasformato in bagno di sangue da gigantesche vespe assassine.

Recensione Stung
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Ricordate Assalto alla Terra, fanta cult risalente al lontano 1954 che, diretto da Gordon Douglas, raccontava di gigantesche formiche rese tali da radiazioni atomiche?
Insieme a Lo squalo di Steve Spielberg ed a Gremlins di Joe Dante, rientra tra le pellicole da cui Benni Diez - supervisore degli effetti visivi di Melancholia di Lars von Trier - ha tratto ispirazione per mettere in piedi Stung, suo primo lungometraggio da regista.
Lungometraggio che si rifà in parte anche ad Aliens - Scontro finale di James Cameron, dal quale, non a caso, recupera il mitico (e piuttosto invecchiato) Lance Henriksen per porlo nei panni di uno degli invitati al ricevimento all'aperto in una villa, organizzato, come ogni anno, da una facoltosa vedova di mezza età.
Ricevimento destinato a trasformarsi in un vero e proprio incubo dal momento in cui il fertilizzante importato illegalmente per concimare il terreno provoca la mutazione di una specie locale di vespe, le quali hanno la caratteristica di deporre le uova in altri insetti.

Nido di vespe

Vespe che, se inizialmente possono apparire quasi come discendenti delle ingigantite zanzare viste nel non molto conosciuto Skeeter di Clark Brandon, rischiano non poco di ricordare il massacro attuato dalle grosse zecche assassine di Ticks - Larve di sangue di Tony Randel quando, divenute alte più di due metri, cominciano anche ad uscire violentemente dai corpi di poveri malcapitati, i quali, appunto, si aprono verticalmente in due dalla testa ai piedi.
Del resto, mentre due addetti al catering interpretati dalla televisiva Jessica Cook e dal Matt O'Leary di Spy kids 2 - L'isola dei sogni perduti lottano per la sopravvivenza insieme al manipolo di aristocratici, è in maniera evidente il respiro di determinati b-movie splatter sfornati tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà del decennio successivo quello che caratterizza la oltre ora e venti di visione.
Respiro conferito soprattutto dall'ampio ricorso ad effetti speciali "concreti", evitando l'artificiosità del digitale che, purtroppo, fa la sua apparizione durante la fase conclusiva dell'avventura horror; penalizzando ulteriormente un piuttosto veloce insieme che, con il Clifton Collins Jr. di Pacific rim incluso nel cast, avrebbe potuto tranquillamente aggiudicarsi la sufficienza grazie alla sola resa del convincente aspetto visivo.
Ulteriormente perché, nonostante l'abbondanza di movimento, la sceneggiatura a firma dell'esordiente Adam Aresty non impiega troppo tempo a perdere di mordente ed a rischiare, di conseguenza, di rendere in più occasione noiosa quella che, in fin dei conti, non sembra celare neppure più di tanto i connotati di variante in salsa eco-vengeance degli assedi zombeschi da grande schermo.

Stung Una festa in villa tra aristocratici viene trasformata in una situazione poco distante da quelle che caratterizzano gli assedi zombeschi cinematografici dal momento in cui fanno la loro apparizione gigantesche vespe mutate e pronte a fare sanguinosamente piazza pulita di comuni mortali. E, mentre il liquido rosso schizza copioso e gli ottimi effetti speciali di trucco riservano non poche nefandezze, troviamo anche il veterano Lance Henriksen di Aliens - Scontro finale e La casa 7 a lottare per la sopravvivenza contro i feroci insettoni nel corso di Stung, che, seppur visivamente accattivante a causa del suo look anni Ottanta/Novanta e inizialmente divertente soprattutto grazie all’abbondanza di movimento, non manca di manifestare in più di un’occasione una certa tendenza alla ripetitività portante inevitabile perdita di coinvolgimento.

5.5

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