Lo Strangolatore di Boston Recensione: il thriller con Keira Knightley

Keira Knightley è la giornalista Loretta McLaughlin nel film Lo strangolatore di Boston basato su eventi reali e disponibile dal 17 marzo su Disney+.

Lo Strangolatore di Boston Recensione: il thriller con Keira Knightley
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Lo Strangolatore di Boston, tra i film Disney+ di marzo 2023 (non perdete anche le serie di marzo su Disney+), va condensando al proprio interno due generi differenti, seppur ben accomunabili. C'è la parte giornalistica svolta dalla protagonista Loretta McLaughlin (Keira Knightley), poi affiancata da Jean Cole (Carrie Coon), e quella prettamente investigativa del thriller incentrata sul pedinamento di un serial killer che non si riesce ad acchiappare, arrivando a una conclusione devastante e per nulla consolatoria. Che, anzi, aumenta l'angoscia suscitata dal caso di cronaca nera realmente avvenuto negli anni Sessanta, e da cui parte Matt Ruskin, che si occupa sia della sceneggiatura che della regia, facendo incontrare le caratteristiche dei due generi di riferimento, come accadde nel 2007 con Zodiac di David Fincher.

La convenzionalità fatta thriller

Il baratro tra i due film è però abissale, perché Zodiac è su tutt'altro livello rispetto a Lo strangolatore di Boston. L'opera di Ruskin, a differenza dell'operazione autoriale di Fincher, ha ambizioni elevate, ma è costruito su una base convenzionale, che va ad influenzare ogni aspetto della produzione della pellicola.

La storia è resa in maniera semplice, la regia ha alcune intuizioni che creano la giusta tensione, intervallate da lunghi momenti di appiattimento e di solo proseguimento del racconto. Anche le interpretazioni rientrano nella norma, come la gestione delle emozioni e le reazioni dei vari personaggi, tutti che si conformano all'atmosfera centrata del racconto, da cui nessuno si distacca distinguendosi o spiccando, ma dimostrandosi ben quadrati all'interno del flusso narrativo e artistico del film.

Un thriller tra media e indagine

A dettare un cambiamento nell'andatura de Lo strangolatore di Boston è giusto un progressivo abbassamento dell'attenzione, sia nella costruzione dell'opera che nel responso dello spettatore, assestando per buona parte il racconto prima di lasciarlo scivolare in discesa, non inficiando sull'intera opera, ma senza alcun dubbio smorzandone ancor di più l'attrattiva, ridotta già in precedenza al limite, e fatta scomparire del tutto.

La costruzione di una storia che, paradossalmente, giunge al nocciolo inquietante e interessantissimo della questione solo alla fine, con quel disvelamento del serial killer e ancor più del suo modus operandi, preso a ispirazione per una serie di successivi e scollegati delitti. Un autentico tema che la pellicola sfiora solamente, volendosi concentrare sulla canonica delineazione temporale di un evento reale, che perde l'occasione di concentrarsi sull'effettivo punto di forza e di incontro tra i due mondi che Lo strangolatore di Boston mette sul piatto: quello degli omicidi e il modo in cui vengono riportati. Come il giornalismo, e ancor più la comunicazione, abbiano avuto sugli accadimenti veramente avvenuti un peso da considerare imprescindibile sulle conseguenze e le varie vittime. E quanto l'influenza dei media abbia modificato non solo la maniera di riferire le notizie, ma abbia provveduto a propria volta a scatenarle. L'innesco per stuzzicare le menti più fragili, provocando delle reazioni su cui il lungometraggio pone la propria attenzione proprio nella sua conclusione, lasciandole solo come sentore di un argomento assai più appassionante di quanto sia stato nel suo insieme Lo strangolatore di Boston. Mostrando un potenziale inespresso su cui il suo autore non è stato in grado di basare la propria indagine. Lasciando la visione così, vaga, come le diverse verità dietro al suo assassino seriale.

Lo strangolatore di Boston Lo strangolatore di Boston va unendo due generi: quello investigativo-giornalistico e il thriller puro. Una sorta di mix che ha come base di ispirazione lo Zodiac di David Fincher, non arrivando al livello della pellicola dell'autore di The Social Network. Una storia che procede semplice, fino a scivolare e appiattirsi col sopraggiungere della fine, non puntando mai sul suo vero asso nella manica, ossia il collegamento tra metodi di comunicazione e la fragilità della psiche di alcune persone.

5.5

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