Recensione Storia di una ladra di libri

Brian Percival, regista del serial televisivo Downton Abbey, porta sullo schermo il best-seller di Markus Zusak

Recensione Storia di una ladra di libri
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Germania, aprile 1938. La piccola Liesel Meminger (Sophie Nélisse), la cui madre è invisa al regime nazista a causa delle sue idee politiche, dopo essere stata testimone della morte del fratellino viene adottata da una famiglia di estrazione popolare, i coniugi Hans (Geoffrey Rush) e Rosa Hubermann (Emily Watson), che la accolgono nella propria casa. Liesel è analfabeta, e Hans, uomo dolce e benevolo, decide così di insegnarle a leggere: in breve tempo, la bambina sviluppa un’insaziabile curiosità nei confronti dei libri. Intanto, mentre le persecuzioni antisemite si fanno sempre più feroci e implacabili, Hans e Rosa decidono di offrire rifugio a Max Vandenburg (Ben Schnetzer), un giovane ebreo scampato alla “notte dei cristalli” che viene nascosto nello scantinato della loro abitazione, e che stringerà uno stretto rapporto di amicizia con Liesel; mentre Max è malato, infatti, la ragazza gli tiene compagnia leggendogli dei libri presi in prestito dalla biblioteca del sindaco Hermann (Rainer Bock) e di sua moglie Ilsa (Barbara Auer), anch’essi molto affezionati a Liesel. Il tempo passa, la follia del nazismo dilaga e la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania...

La Piccola Lettrice

La bambina che salvava i libri (titolo originale: The book thief), pubblicato dallo scrittore australiano Markus Zusak, è stato uno dei casi letterari del 2005, diventando un popolarissimo best-seller in tutto il mondo. Ad occuparsi dell’immancabile trasposizione cinematografica è l’inglese Brian Percival, regista di solida formazione televisiva che nel proprio curriculum può vantare numerosi episodi della serie culto Downton Abbey. Al suo secondo lungometraggio per il grande schermo dopo un film indipendente del 2009 (A boy called dad), Percival si fa carico di un’importante co-produzione internazionale, che può contare su un’accurata ricostruzione d’epoca, sull’apporto di un leggendario compositore quale John Williams (candidato all’Oscar per le musiche del film) e di un cast che, accanto a due assi quali l’australiano Geoffrey Rush e la britannica Emily Watson, vede protagonista la tredicenne canadese Sophie Nélisse, alla sua seconda esperienza davanti alla macchina da presa dopo la partecipazione, nel 2011, al bellissimo Monsieur Lazhar di Philippe Falardeau, pellicola che le era valso il record come più giovane attrice premiata con il Genie Award (l’equivalente canadese degli Oscar). Una confezione di “lusso” e una squadra di talenti, nella sezione cast & crew, che Percival gestisce con la competenza di un bravo regista televisivo, adottando tuttavia un accademismo che costituisce anche il principale limite del film.

A Voce Alta

Storia di una ladra di libri, come evidenziato fin dal titolo, costituisce in prima analisi un apologo sul valore della lettura - e della letteratura - come “scudo” contro la violenza e la barbarie: un’esaltazione del potere salvifico dei parola scritta, e quindi in termini più generali dell’arte e della cultura, ancora più significativa in quanto inserita in un contesto storico assimilabile al periodo più cupo dell’intero Novecento europeo (la Germania hitleriana e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale). In tal senso, la sequenza in cui la piccola Liesel, nottetempo, si avvicina a uno dei roghi accesi dai nazisti per “salvare” uno dei libri dati in pasto alle fiamme costituisce l’immagine-simbolo di un racconto paradigmatico e dai toni edificanti. Il legame fra la curiosità intellettuale, la conoscenza e la responsabilità morale ai tempi del nazismo, del resto, non è nuovo all’interno del filone dei film sull’Olocausto: ricordiamo soltanto il celebre caso di The Reader di Stephen Daldry, del 2008, altra trasposizione di un romanzo di successo (A voce alta di Bernhard Schlink). Ma a differenza del dramma di Daldry, purtroppo, Storia di una ladra di libri non riesce a raggiungere gli stessi livelli di intensità, né a scuotere veramente la coscienza dello spettatore, limitandosi più semplicemente a una serie tentativi di indurre il pubblico ad una facile commozione (in particolare verso l’epilogo). Quello di Percival, al di là dei nobili intenti o dell’importanza intrinseca della vicenda narrata, è difatti un prodotto fin troppo didascalico e costruito su misura per un target eterogeneo e dai gusti ‘televisivi’ (per l’appunto), assai furbetto nell’evitare qualunque “zona d’ombra” a favore di un generico umanismo di facciata; ma dal grande cinema si può - e si deve - pretendere qualcosa in più.

Storia di una ladra di libri Brian Percival, regista del serial televisivo Downton Abbey, porta sullo schermo il best-seller di Markus Zusak, ambientato nella Germania nazista alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale: il risultato, un racconto edificante sul potere salvifico della letteratura, è un film diligente, ben interpretato e di solida fattura, ma fin troppo convenzionale e didascalico nelle modalità in cui tenta di veicolare la commozione verso il pubblico.

6.5

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