Recensione Space Metropoliz

Da fabbrica di salami a casa cosmopolita di persone e sogni: Luca Argentero ci presenta un atipico documentario su una realtà tu

Recensione Space Metropoliz
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Il titolo potrebbe lasciare immediatamente pensare a una produzione di fantascienza che, a modo suo, vorrebbe omaggiare il mitico capolavoro della Settima arte Metropolis, firmato nel lontano 1927 dal maestro delle immagini in movimento Fritz Lang.
E, se vogliamo, quella raccontata sullo schermo dal sociologo e documentarista Fabrizio Boni e dall'antropologo, giornalista, filmmaker e fotografo Giorgio De Finis può essere considerata, in un certo senso, una storia di fantascienza, ma appartenente alla quotidiana realtà tricolore. Perché la Metropoliz del titolo altro non è che una ex fabbrica di salami abbandonata alla periferia di Roma, quadrante stellare di Tor Sapienza, uno di quei posti dimenticati da tutti che sembrano usciti da un film di Pier Paolo Pasolini o Andrei Tarkovsky. Fabbrica abbandonata di cui, un giorno, un gruppo (dis)omogeneo di italiani, tunisini, peruviani, ucraini, africani e rom ruppe il lucchetto del cancello e decise di trasformare in uno spazio abitabile; ristrutturandolo, riparandolo e organizzandolo nel tentativo di farne un luogo dove condurre una vita decorosa.
Trovandosi costretti a lottare continuamente perché la gente della Terra non sembra capire come essi possano vivere felici, così fuori dalle regole.

Non voglio mica la luna

E' per questo che la loro storia di convivenza, di condivisione e di impegno politico arriva a sfociare in una folle ma semplice missione: costruire un razzo in un posto dove è difficile sbarcare il lunario.
Ed è la voce di Luca Argentero - anche produttore del documentario insieme agli stessi registi - ad accompagnarci nella circa ora e quaranta di visione, ovvero un terzo dell'intero materiale girato.
Ora e quaranta di visione volta a mostrare la ampia e variegata comunità di artisti che, nel corso di un paio d'anni, hanno collaborato ai preparativi per il fantastico, allegorico viaggio verso la Luna, oppure finalizzato a portare la Luna sulla Terra.
Artisti a partire da Gian Maria Tosatti, man mano che, accanto a figure più o meno note dello schermo quali la Carmen Giardina del manettiano L'arrivo di Wang e la Alessandra Roca della serie televisiva Romanzo criminale, troviamo anche architetti radicali, ufologi, astrofisici e filosofi.
Tutti impegnati a far emergere in maniera atipica la condizione degli emarginati in quella che viene definita - spesso abusivamente - società civile, tra racconti della gente della zona e di famiglie costrette alla sopravvivenza.
Ma anche a dimostrare sia che l'arte può essere in grado di cambiare il mondo, sia che, se non si costruiscono i propri obiettivi a partire da un'utopia, si finisce per abbassare l'obiettivo a terra e non ci si muove più.
Sebbene la durata dell'elaborato non fatichi ad apparire eccessiva, finendo a lungo andare per coinvolgere pienamente nella visione soltanto coloro che hanno preso parte al progetto.

Space Metropoliz L’arte può essere in grado di cambiare il mondo? Il sogno e l’immaginazione appartengono a tutti, nessuno escluso? Provano a risponderci Fabrizio Boni e Giorgio de Finis tramite questo documentario che, coinvolgendo filosofi, astrofisici, astronauti, ufologi, architetti radicali e artisti, esplora la vita all’interno di Metropoliz, ex fabbrica di salami abbandonata alla periferia di Roma, trasformata da persone appartenenti a diverse etnie nella loro abitazione. Persone sottoposte al peso dei bisogni di chi si è visto negare casa, lavoro, salute e diritti e che si mostrano impegnate a realizzare un razzo per poter andare allegoricamente a vivere sulla Luna. Mentre la voce di Luca Argentero - anche tra i produttori dell’operazione - accompagna la circa ora e quaranta di visione che, al di là dell’originale idea di partenza, rischia strada facendo di perdere la capacità di coinvolgere lo spettatore.

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