Recensione Song' e Napule

I Manetti Bros omaggiano il poliziottesco anni Settanta

Recensione Song' e Napule
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Prima hanno rispolverato Dracula in chiave hip hop tramite Zora la vampira (2000), poi si sono dedicati al thriller "al chiuso" Piano 17 (2005); prima di passare alla fantascienza de L'arrivo di Wang (2011), me senza rifiutare neppure le escursioni nello splatter rappresentate da Cavie (2009) e Paura 3D (2012).
Rispettivamente classe 1968 e 1970, i fratelli romani Marco e Antonio Manetti (in arte Manetti Bros) si cimentano stavolta con il genere poliziesco - già affrontato sul piccolo schermo attraverso la serie televisiva L'ispettore Coliandro - grazie a un'operazione fortemente voluta dallo scomparso produttore Luciano Martino e della quale rivelano: "Questo film nasce da un'idea di Giampaolo Morelli raccontataci qualche anno fa. La abbiamo sottoposta a Luciano che ci ha creduto fin dalla prima volta che l'abbiamo raccontata, convincendoci che questo era il film che dovevamo fare dopo L'arrivo di Wang e Paura 3D. Siamo fieri di aver diretto l'ultimo film dell'uomo che consideriamo il più grande produttore italiano oltre che il nostro maestro. Un incontro e un connubio durato pochi anni, ma che per noi ha significato tutto e ci ha dato quello di cui avevamo bisogno e che nessuno prima di lui era riuscito a darci: una direzione".

Piano... d’arresto

Il Giampaolo Morelli che veste nel film i panni di Lollo Love, noto cantante neomelodico partenopeo a quanto pare destinato a dover allietare il matrimonio di Antonella Stornaienco alias Roberta Liguori, figlia del boss di Somma Vesuviana.
Matrimonio dove, a quanto pare, sarà presente anche O' Fantasma, pericoloso killer della camorra così chiamato perché nessuno ne conosce il volto e sulle cui tracce si è messo il commissario Cammarota dell'anticrimine, cui concede anima e corpo Paolo Sassanelli.
Per questo il raffinato pianista disoccupato Paco, relegato in un deposito giudiziario in quanto ottenuto il posto in polizia tramite raccomandazione ma totalmente inadatto al mestiere, viene fatto infiltrare nel gruppo di Lollo, ritrovandosi sia a suonare una musica che detesta vestito come un cafone che a rischiare seriamente la propria vita.

Squadra anticamorra

Ed è l'Alessandro Roja della serie tv Romanzo criminale a incarnare quest'ultimo, a partire da un divertente prologo volto a introdurre anche uno strepitoso Carlo Buccirosso nel ruolo del questore Vitali.
Prologo dal quale trascorrono due anni prima di avere Paco in azione, al servizio di oltre un'ora e cinquanta di visione che, con Peppe Servillo incluso nel cast, intende in maniera evidente rifarsi al filone delle commedie poliziottesche che fecero la fortuna di Tomas Milian nella "divisa" del rozzo ispettore Nico Giraldi.
Perché, come nella popolare serie iniziata con Squadra antiscippo (1976) di Bruno Corbucci, l'intrigo poliziesco, seppur non privo di violenza e cadaveri sparsi, fa dell'ironia uno dei suoi ingredienti vincenti.
Quindi, anche se, in questo caso, anziché nella Roma degli anni Settanta ci troviamo nel mezzo della Napoli d'inizio XXI secolo, dove viene oltretutto osservato (con intenti scherzosi, ovviamente) che ai figli non si insegna a rispettare le regole ma a fare i furbi, l'aria che si respira, a tutti gli effetti, è proprio quella del periodo cinematografico in cui, impegnati a sgominare criminali, avevamo commissari di ferro con i connotati di Luc Merenda, Franco Gasparri e Maurizio Merli.
Periodo cinematografico ulteriormente omaggiato sia da una colonna sonora - a firma di Pivio e Aldo De Scalzi - che richiama chiaramente i temi mitici composti a suo tempo da Franco Micalizzi e colleghi, sia dall'apparizione di una originale Alfa Romeo Giulia utilizzata per l'inseguimento finale della pellicola.
Pellicola che i Manetti si mostrano capaci di gestire alla grande sia per quanto riguarda i momenti di tensione (si pensi alla sequenza ambientata al matrimonio) che quelli maggiormente volti alla risata; intrattenendo a dovere lo spettatore odierno, ma, allo stesso tempo, accarezzando anche il cuore di quello nostalgico che sogna il ritorno di una produzione di genere tricolore tramontata da troppi anni.

Song' e Napule Chi lo avrebbe mai detto che il prolifico produttore Luciano Martino, finanziatore negli anni Settanta di pellicole quali Roma a mano armata di Umberto Lenzi e Milano trema - La polizia vuole giustizia di Sergio Martino, ci avrebbe lasciati proprio con un lungometraggio che si rifà a quel filone tanto in voga all’epoca? Perché, con un titolo a doppio senso che, pur significando “Sono di Napoli”, richiama l’universo musicale partenopeo, il film dei Manetti Bros è un chiaro omaggio al poliziottesco di taglio ironico che regalò il successo italiano a Tomas Milian. Un omaggio al cui interno, complice anche un cast in ottima forma, risultano gestiti a dovere sia i momenti di tensione che quelli da ridere, tanto che lo spettacolo intrattiene a dovere senza annoiare mai, nonostante la tutt’altro che breve durata.

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