Sicilian Ghost Story, la recensione del film di Grassadonia e Piazza

La coppia di registi affronta un noto e drammatico caso di cronaca nera attraverso un approccio da fiabesco e struggente coming-of-age.

Sicilian Ghost Story, la recensione del film di Grassadonia e Piazza
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La tredicenne Luna è innamorata di Giuseppe, un suo compagno di scuola. Proprio quando la loro relazione sta finalmente per sbocciare e dopo il fatidico primo bacio, il ragazzo scompare nel nulla. Giuseppe, figlio di un pentito di mafia, è stato rapito e rinchiuso in un isolato casolare, a scopo di ricatto nei confronti del padre.
Mentre l'intera cittadina cede a un clima di omertà, Luna non si rassegna ed è determinata a ritrovare il potenziale fidanzato a ogni costo, anche se nessuno - genitori inclusi - pare intenzionato a darle retta e anzi vede di traverso l'ostinazione della protagonista. Protagonista che è anche vittima di sogni/visioni che riguardano proprio Giuseppe.

Fantasmi mai dimenticati

L'approccio disincantato, da fiaba mistica pronta a incanalarsi su territori ben più terreni e tragici, è anche quello più ispirato e adatto per raccontare alle nuove generazioni uno dei casi di cronaca nera che più sconvolsero l'Italia degli anni '90, ossia il brutale rapimento di Giuseppe Di Matteo.
Già nel titolo Sicilian Ghost Story sottolinea un approccio estraneo alle tipiche produzioni di genere sui crimini compiuti dalla malavita nostrana e nell'adattare il racconto Un cavaliere bianco - scritto da Marco Mancassola - procede su una strada più affine al cinema fantastico.
Senza tirare in ballo scomodi paragoni, a livello concettuale ci troviamo dalle parti de Il labirinto del fauno (2006) di Guillermo del Toro, con il contesto da fairy tale che si adatta con incredibile armonia anche alle pagine più nere del racconto.

Tra (dis)illusioni e realtà

E se la speranza di assistere a un'evoluzione ucronica sulla scia del C'era una volta a... Hollywood (2019) di Quentin Tarantino viene amaramente disattesa, i motivi di riscatto e di lotta contro le ingiustizie trovano ideale incarnazione nel fittizio personaggio di Luna.
Una ragazzina ribelle pronta a infrangere le convenzioni di una Sicilia arcaica, tanto da colorarsi i capelli di blu acceso in una potenziale citazione a La vita di Adele (2013) e ricordare fisiognomicamente e per carattere la Eleven di Stranger Things, e che simboleggia la speranza di un domani "altro" e migliore.
I registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, già autori dell'acclamato Salvo (2013), optano per una regia evocativa che ambisce in certi frangenti allo stile di Tarkovskij, con lunghe inquadrature in piano-sequenza che ruotano su loro stesse e una pregnante attenzione al contesto ambientale e naturalistico, vero e proprio elemento centrale della vicenda e al centro di scelte simboliche e metaforiche.
Se il silenzio assordante che caratterizza una delle scene clou del finale, con le profondità acquatiche teatro del più indicibile degli orrori, si palesa a tutti, l'idea di sfruttare il contesto scenografico del tempio di Selinunte ha un preciso significato: lì infatti si tenevano in passato i sacrifici agli dei.

Qualcosa di nuovo

L'estasi onirica e visionaria regala poi scorci suggestivi ed evocativi, in grado di smorzare le fasi più truci del racconto che, pur solo liberamente ispirato a fatti reali, fanno la loro comparsa in un crescendo di tensione dove l'orrore, nascosto nella rappresentazione della violenza, diventa comunque palpabile e doloroso.
E l'idea di affrontare una vicenda così complessa e straziante attraverso il percorso di un moderno coming-of-age si rivela (av)vincente, riuscendo a permeare di sfumature il sentiero irto di spine e colmo di lacrime calpestato dalla tenace protagonista.
A tal riguardo merita una menzione d'onore l'interpretazione della giovanissima Julia Jedlikowska, di origini polacco-palermitane, che mostra una notevole maturità in un ruolo per nulla semplice.
È lei la punta di diamante di un cast altrimenti altalenante, spesso rimarcato su toni dialettali che più che realismo finiscono per imprimere un parziale senso di superficialità.
Questo, unito a qualche sporadica imprecisione a livello narrativo, non inficia a ogni modo il fascino di un'opera preziosa e magnetica, toccante e coraggiosa nel tentare una strada raramente imboccata dal cinema italiano.

Sicilian Ghost Story Pur al netto di qualche lieve sbavatura, riconducibile in particolar modo a una recitazione a tratti approssimativa - ma la protagonista Julia Jedlikowska è più che convincente - Sicilian Ghost Story è un'opera ammaliante e perturbante. Il secondo lungometraggio diretto a quattro mani da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza si ispira, così come il racconto alla base, alla tragica vicenda di mafia che coinvolse il giovanissimo Giuseppe Di Matteo, tra i più truci casi di cronaca nera nell'Italia degli anni '90. Il tutto è filtrato attraverso un approccio onirico e filo-fantastico, osservato principalmente dall'ottica femminile del fittizio personaggio di Luna, che si erge quale simbolo di lotta contro il clima di omertà dei suoi concittadini. Tra Guillermo del Toro e Andrej Tarkovskij, il cinema dei registi è ricco e denso, e opta per uno stile visionario ed evocativo che brilla in scelte stilistiche che catturano il fascino e le sfumature del contesto ambientale, sia in interni che - soprattutto - in esterni. Qui la natura diventa un tutt'uno con la storia e i personaggi, nelle fasi oniriche così come in quelle più dolorosamente terrene. Due ore di visione che non fanno sconti nell'esposizione dell'orrore in divenire, comunque filtrando l'insieme tramite i presupposti di un coming-of-age sospeso tra magia e realtà, in cui il dolore lascia spazio a un catartico, idealistico, sentimento di speranza. Il film andrà in onda martedì 4 agosto alle 23.35 su RAI3.

7.5

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