Recensione Si alza il vento

Il testamento spirituale e artistico di Hayao Miyazaki: uno spaccato storico e umano di rara profondità

Recensione Si alza il vento
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Nel primo dopoguerra un ragazzino giapponese, Jirō Horikoshi, scopre la sua passione per il volo e gli aeroplani: il suo sogno sarebbe diventare un pilota, ma essendo miope non può affrontare serenamente il suo desiderio. Almeno fino al momento in cui, in sogno, il Conte Giovanni Battista Caproni, pioniere dell'aeronautica italiana, gli consiglia di seguire le sue orme e divenire ingegnere, per realizzare le più meravigliose macchine volanti mai pensate. Da quel momento Jirō, ragazzo molto educato e volenteroso, dedica tutte le sue forze allo studio e, dopo essersi diplomato all'Università Imperiale di Tokyo, inizia a lavorare a Nagoya presso la Mitsubishi, finendo per occuparsi di caccia e aerei militari in un mondo che va verso la terribile escalation bellica della Seconda Guerra Mondiale. Tra colpi di genio, insuccessi e perplessità riguardanti il suo lavoro Jirō, oramai divenuto adulto, scopre anche l'amore per una bella ragazza che aveva fortuitamente conosciuto già diversi anni prima, durante il disastroso terremoto del Kanto del 1923, quando era ancora uno studente a Tokyo...

"Le vent se lève! ....il faut tenter de vivre!"

L'amore di Hayao Miyazaki per il volo è notorio e indiscusso: figlio di un imprenditore aeronavale, lo stesso Hayao avrebbe voluto pilotare aerei ma, proprio come il Jirō del suo ultimo (in senso definitivo?) film, problemi di vista glielo hanno impedito, e quindi si è “limitato” a volare con la fantasia e far volare gran parte dei suoi personaggi disegnati, in un modo o nell'altro. Vengono subito alla mente piccoli e grandi capolavori come Porco Rosso, Il castello nel cielo - Laputa o Nausicaä della Valle del vento, dove vengono utilizzati, se non proprio aeroplani come nel primo titolo citato, macchine volanti di vario tipo; ma anche in tanti altri corto e lungometraggi l'ebrezza del volo fa parte dell'esperienza, magari con l'aiuto della magia: da Kiki consegne a domicilio a Il mio vicino Totoro, passando per La città incantata. Ma è tramite Si alza il vento che Miyazaki ci consegna la sua vera eredità spirituale e artistica, perfettamente conscio che questo sarà (purtroppo) il suo ultimo, grande lavoro.

"Cosa sceglieresti? Un mondo con le piramidi o senza?"

Un testamento artistico in forma di storia (auto)biografica, realizzata a partire da un suo manga a sua volta ispirato dalla vita e dalle opere di due figure giapponesi di spicco del '900: l'ingegnere aeronautico Jirō Horikoshi, per l'appunto, e il letterato nipponico Tatsuo Hori, autore, tra le altre cose, del romanzo del '36 Kaze tachinu (Si alza il vento). Mescolando elementi della vita del primo e del secondo con parti di fiction ispirate dal romanzo omonimo (e inserendo palesemente anche un po' di se stesso nel profilo del protagonista) Miyazaki porta al cinema un'epopea personale che è anche parte della storia del Giappone, e porta con sé quasi tutti i temi cari al Maestro: la crescita personale, il coraggio di affrontare l'ignoto, l'ecologia, la guerra, la tecnologia applicata, e financo l'amore. Questa volta, però, non lo fa con un film d'avventura ma con uno spaccato storico fortemente riconoscibile e circostanziato, benché probabilmente poco noto ai non giapponesi e ai non conoscitori della storia dell'arcipelago. Da questo punto di vista, dunque, si tratta forse del film più difficile di Miyazaki, che alla forza delle metafore preferisce spesso, questa volta, la forza della Storia, e per comprendere appieno le vicende in cui è coinvolto Jirō è assai utile conoscere storia e mentalità del Giappone della prima metà del secolo scorso: l'ingegnere-alter ego del regista, difatti, è tipicamente un uomo del suo tempo, nonostante sia una di quelle straordinarie persone che, i tempi, li sanno precedere con il loro ingegno.

Si alza il vento C'è una tale raffinatezza, una tale sconfinata poesia nella rappresentazione dei momenti più tristi di Si alza il vento che non si può non restare ammaliati e, al contempo, sconvolti dalla forza delle immagini che scorrono sullo schermo. L'unico difetto del film è forse il suo essere un po' ostico per il pubblico più giovane (che almeno, in altre pellicole storicamente complesse come Principessa Mononoke, aveva il sottotesto avventuroso su cui rifarsi) e non solo: anche i più grandicelli potrebbero non cogliere diverse sottigliezze legate alla mentalità giapponese dell'epoca e perdere, dunque, parte del significato dell'opera, che è fortemente legato all'introspezione psicologica dei personaggi. Tecnicamente ineccepibile e impreziosito dalle musiche dell'immancabile Joe Hisaishi, ad ogni modo il commiato di Hayao Miyazaki all'arte del lungometraggio non potrebbe essere più bello e significativo.

9

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