Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, recensione: azione pura nel MCU

Muovendosi tra wuxia e cinecomic, il nuovo arrivato di casa Marvel sorprende soprattutto per la notevole regia dell'azione, regalando momenti incredibili.

Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, recensione: azione pura nel MCU
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Quando Bob Chapek, CEO Disney, ha parlato di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli come di un esperimento, il protagonista Simu Liu non si è trovato d'accordo. "Non siamo un esperimento. Siamo dei pionieri, la nuova sorpresa", ha tuonato l'attore via social. E in effetti aveva ragione. Non che Chapek parlasse del film nel merito - riferendosi invece al piano distribuitivo -, ma Liu ha difeso il suo lavoro e quello dei colleghi entrando in effetti nel cuore del cinecomic di Destin Daniel Cretton, che adesso deve affrontare un nuovo modello distributivo, in esclusiva cinematografica per 45 giorni e poi senza Accesso VIP su Disney+.

Un film, questo Shang-Chi, che si prefigge l'obiettivo di introdurre nel MCU una delle principali new entry della Fase 4, presentando inoltre al mondo il primo supereroe Marvel di origini asiatiche e continuando quindi quel percorso di apertura e rappresentazione cominciato già nel 2017 con il blasonato Black Panther di Ryan Coogler.
Anche qui ci sono regni nascosti e affascinanti culture da scoprire, ma è un titolo diametralmente opposto al cinecomic col compianto Chadwick Boseman, più compatto nella sua volontà intrattenitrice e derivativo dal punto di vista scenografico e della sceneggiatura. Sicuramente valido e centrato ma non a tal punto da rendere questi elementi il suo punto forte, che invece sono l'azione, l'esagerazione e il divertimento. E onestamente non potevamo aspettarci di meglio.

Shang-Chi e il Mandarino

Come risaputo, Shang-Chi racconta una storia d'origini, quella dell'eroe titolare. Dopo un sensazionale ed elegante prologo dedicato alla storia di Wenwu (Tony Leung), si passa intelligentemente in medias res, lavorando su diversi flashback per raccontare la crescita e la formazione di Shang-Chi, che troviamo trentenne a San Francisco insieme all'esuberante amica Katy (Awkwafina), entrambi indecisi su cosa fare del loro futuro ma liberi, a loro modo felici.

Questo finché il temibile e millenario Wenwu, padre di Shang-Chi, non decide che è arrivato per lui il momento di ricongiungersi al suo fianco per un compito di assoluta importanza e prendere in mano le redini dei Dieci Anelli, l'organizzazione criminale fondata e guidata dal genitore, conosciuto e temuto anche con il nome di Mandarino (quello vero questa volta).
Il racconto, a stringere, è estremamente "formulaico" in senso marveliano e non regala chissà quali sorprese in chiave di colpi di scena o di scrittura dei dialoghi, eppure funziona e riesce comunque a emozionare per quanto riguarda lo sviluppo della figura di Wenwu e in relazione al rapporto con il figlio. Il Mandarino declinato da Tony Leung sul grande schermo è diverso da qualunque altra versione finora vista, da quella divertita di Ben Kingsley (che torna qui nello stesso, esilarante ruolo) al "produttore" interpretato da Guy Pearce. Il nemico è qui molto umano, inserito all'interno dell'ottica familiare e di un percorso che lo ha condotto a scegliere l'amore anziché il potere, fino a invertire nuovamente il suo destino dopo un tragico avvenimento, scegliendo ancora la via dei Dieci Anelli.

Tony Leung regala un'interpretazione tanto fisica quanto profonda, riuscendo a incanalare tante emozioni diverse in pochi sguardi, come in una splendida e poetica sequenza nel prologo, un raffinato combattimento neo-wuxia che assume i tratti di una delicata danza d'accoppiamento (impossibile non lasciarla entrare nell'anima). La morbidezza della caratterizzazione del Mandarino è pensata come seta, in grado di restare liscia e precisa alla vista ma ricca di piccole e continue increspature della superficie che la rendono un tessuto - in questo caso narrativo - più complesso e articolato di quanto appaia.

E infatti Wenwu è conquistatore, leader, marito, padre, vendetta: un personaggio assai affascinante e tridimensionale a cui manca forse - per essere perfetto - l'aspetto della nemesi a tutto tondo, essendo come dicevamo tante cose insieme, sfaccettato sì ma difficilmente leggibile come nemico tout court.
Convince e sorprende anche Simu Liu nel ruolo principale, avendo tutte le carte in regola per divenire il Jackie Chan del nuovo decennio, dall'espressività accentuata a un'agilità e una muscolarità sinceramente impressionanti, a suo agio in ogni sequenza.

Quello lasciato ad Awkwafina è invece il classico e scontato comic relief, che però l'attrice riesce a fare proprio e a investire di grande personalità, rendendo Katy quasi un braccio destro di Shang-Chi, una mascotte coraggiosa e combattiva.

Tra The Raid e la Foresta dei Pugnali Volanti

Andando oltre l'aspetto prettamente narrativo di Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli, che vive il suo apice nel corpo centrale del racconto, quello che lascia veramente stupefatti e felici del film è la regia delle sequenze d'azione, che sono molte e ricche d'originalità, spesso citazioniste (qualcuno ha detto Old Boy?), costruite e dirette con notevole competenza.

Destin Daniel Cretton dimostra che la militanza nel panorama indipendente e poi quasi prettamente drammatico non deve minare in modo irreversibile la fame di creatività action come visto nel recente Black Widow o in Captain Marvel, anzi deve alimentarla. Ed è infatti questo che fa l'autore (anche co-firmatario della sceneggiatura insieme a David Callaham), impalcando quattro macro sequenze interamente dedicate ai combattimenti corpo a corpo e alle arti marziali in ambiente urbano come The Raid o John Wick, virtuose e sensazionali, tra una violenta rissa in autobus e uno scontro verticale a Macau da capogiro e applausi (mozza realmente il fiato).
Il primo atto di Shang-Chi sembra uscito direttamente dalla mente dello Zhang Yimou di Hero e La Foresta dei Pugnali Volanti, solo adattato al mercato americano da un autore di origini asiatiche che sa il fatto suo. Poi diventa improvvisamente il Gareth Evans di Gangs of London, scevro dell'eccessiva violenza del già citato The Raid ma ugualmente ingegnoso nelle stupefacenti coreografie spesso mixate a un buon uso della CGI (ma in generale gli effetti speciali e visivi sono sopra la media Marvel).

A far soffrire (ma comunque in modo non eccessivo) tutto l'impianto sono diversi cali di ritmo, specie una volta arrivati all'inizio del terzo e ultimo atto che ricorda un po' quello conclusivo di Black Panther, pur non condividendo in alcun modo con lo stesso la povertà visiva. È anzi in conclusione che Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli si trasforma in qualcosa di ancora diverso, in un glorioso baraccone orientale che gioca con la cultura cinese e prende in prestito anche qualche elemento anime, esplodendo in una follia piena di scontri, magia e qualcosa (o qualcuno) che farà davvero felici i fan dei fumetti.

Insomma, Shang-Chi si rivela in definitiva un film entusiasmante, funzionale e riuscito al netto di qualche riserva relativa al contenuto narrativo e alla gestione del ritmo, che pure non minano assolutamente nel profondo la spettacolarità del prodotto e il messaggio che vuole trasmettere. Siamo davvero felici dell'arrivo di questo nuovo supereroe nel Marvel Cinematic Universe e non vediamo l'ora di capire quale ruolo ricoprirà nel grande circo degli Avengers nel futuro del franchise.

Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli Shang-Chi e la Leggenda dei Dieci Anelli di Destin Daniel Cretton è l'ennesima conferma della giusta direzione intrapresa dai Marvel Studios nell'ottica di unire rappresentazione e cultura al mainstream connaturato nel genere dei cinecomic. Un film che parla di famiglia e relazioni complicate, interpretato magnificamente da Tony Leung nel ruolo del Mandarino e da un convincente Simu Liu nei panni dell'eroe titolare, il Jackie Chan delle nuove generazioni. A funzionare più di tutto sono però le sequenze d'azione: geniali, virtuose e sensazionali, dirette con notevole maestria da Cretton e con grande ingegno coreografico ed effettistico, tanto da farlo muovere in una dimensione particolare tra The Raid e La foresta dei pugnali volanti. Entusiasmante nel primo atto, narrativo nel secondo, esagerato, da circo orientale senza freni, nell'ultimo, ma comunque sempre in grado di intrattenere, divertire e a tratti emozionare in modo ragionato e puntuale. Un'ottima new entry nel MCU.

7.5

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