Il circuito cinematografico cinese contemporaneo sta vivendo negli ultimi anni un nuovo periodo di ricchezza e floridezza. Molti sono i registi che hanno iniziato a far vedere il loro potenziale con una serie di opere di altissimo valore: basti citare, tra i tanti, Bi Gan (leggete la nostra recensione di Un lungo viaggio nella notte), Diao Yinan (qui la recensione de Il lago delle oche selvatiche), Xin Yukun (The Coffin in the Mountain) o Zheng Lu Xinyuan (The Cloud in Her Room). Per non parlare poi di autori di origini cinesi che hanno sviluppato la loro arte fuori dalla Cina, come il premio Oscar Chloé Zhao. Accanto ad essi, però, la vecchia guardia non sta a guardare e cerca di tracciare nuovi percorsi per la propria arte, scavando nella tradizione e provando a contaminarla con nuove idee. È il caso di Shadow (Ying), film del 2018 diretto da uno dei più importanti cineasti non soltanto asiatici, Zhang Yimou, e inserito nella nostra lista dei migliori Blu-ray e DVD di giugno 2022.
Zhang reinterpreta uno dei classici della letteratura epica cinese, il Romanzo dei Tre Regni di Luo Guanzhong, composto da intrighi, ambiguità e doppi. La storia segue le vicende di Jing, addestrato fin dall'infanzia, vista la particolare somiglianza, per diventare il sosia del generale del Regno di Pei, Yu. Quando quest'ultimo verrà gravemente ferito da Yang - capo delle armate che hanno preso il controllo della città di Jingzhou - sarà costretto a rifugiarsi in una zona segreta del palazzo reale e lasciare che Jing possa iniziare a svolgere il suo ruolo di ombra, sostituendolo a corte per persuadere il Re, inconsapevole dello scambio, ad iniziare una guerra per riprendere la strategica città.
Una rimozione poco stimolante
Serve tenere bene a mente il fulcro narrativo del progetto - il doppio e il contrasto, la dicotomia - per potersi approcciare a Shadow e godere di ciò che di buono ha da offrire. È tutto basato su un gioco di dualismi che si scontrano, di opposti che si fanno la guerra ma che devono necessariamente armonizzarsi per poter ottenere qualcosa. In primis il bianco e il nero, colori dominanti di una palette cromatica alquanto desaturata, ma non priva dei colori, per restituire il fascino del disegno con inchiostro di china, antica e tradizionale arte cinese. Perché Zhang Yimou, baluardo del cinema di partito, ha sempre posto attenzione all'innovazione senza però dimenticare il passato, la tradizione, anzi provando a tramandarla quando possibile.

Ma fa strano vedere venir fuori proprio da colui che aveva spettacolarizzato così sapientemente il colore e le emozioni derivate da esso - si veda La foresta dei pugnali volanti - un film con questa gamma cromatica più buia (opera di Zhao Xiaoding), per niente scintillante e difficilmente collegabile al wuxiapian. Ed è affascinante non solo questo grigio così pervasivo ma soprattutto il ritorno ad una dimensione più materica e terrena, fatta di sangue, pioggia e fango. La disgrazia però è sta nel fatto che questa componente visiva (così intrigante in partenza, specie se si pensa ad un cineasta che ha sempre messo in scena l'eleganza formale e gli scontri tra colori e adesso rivoluziona rimuovendo, parzialmente, entrambi) risulti alla fine un po' fiacca, debole ma anzitutto, nel suo essere così didascalica, non aiuta a potenziare la parabola. A spuntarla sono le magnetiche e stilisticamente perfette coreografie dei combattimenti, che ammaliano pur arrivando con una minore forza rispetto al passato.
Di ying e di yang
Sottraendo allo sguardo la spettacolarizzazione del colore, risalta però maggiormente una tragedia dal sapore shakespeariano, articolata attraverso conflitti psicologici, inganni e ancora una volta i contrasti tra poli opposti, tra yin e yang così come tra femminile e maschile, la luce e il buio, il vero e il falso.
Al centro del gioco c'è l'ombra del titolo, quella già esplorata dal Kagemusha - L'ombra del guerriero (1980) di Akira Kurosawa: sono personaggi misteriosi, sacrificati per combattere o svolgere funzioni al posto di sovrani e comandanti (i sosia li aveva Castro così come Stalin) spesso dimenticati dalla storia e di conseguenza dal racconto cinematografico. Ed è di certo intrigante come contesto, specialmente quando, dopo una prima mezzora coinvolgente ma fin troppo verbosa e statica nell'esposizione, il discorso sul potere inizia a farsi più decisamente più consistente. Ad arrancare però è l'equilibrio generale, paradossale assenza in un film che proprio su questo prova a fondare tanti dei suoi parallelismi: in alcuni frangenti Shadow si manifesta criptico e di ciò sembra quasi compiaciuto (ma proprio in quei momenti è più avvincente) in altri invece sceglie di essere didascalico e diretto, creando uno sbilanciamento che non riesce a compenetrare i vari elementi dell'intreccio - come i più volte evidenziati, forse troppe volte, yin e yang.
Va dato atto a Zhang di riuscire a creare dei momenti impressionanti (si veda, fra tutti, la clamorosa sequenza degli ombrelli utilizzati sia come scudo che come slitta), frutto di scelte registiche e narrative sapienti ma che sono solo piccoli sussulti in due ore di un minimalismo eccessivamente blando. E la sensazione è che Shadow, per quanto apprezzabile, sia soltanto "l'ombra" del cinema di Zhang Yimou, un riflesso che fa vedere il talento del cineasta cinese ma che non ne incarna la vera essenza che in passato ha incantato e che, come abbiamo visto con il recente One Second, è ancora capace di emergere.