Recensione Sette Anime

Viaggio nella redenzione di uomo deciso a pagare le sue sette libbre di carne.

Recensione Sette Anime
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Alla ricerca del successo

Sono passati due anni da quando la coppia Muccino-Smith ha commosso il mondo con Alla Ricerca della Felicità e la sua perfetta costruzione drammatica ed emotiva. Il pubblico li ha amati, la critica osannati: Gabriele Muccino aveva superato la prova di iniziazione Hollywoodiana, senza cadere nei tranelli delle produzioni patinate, e senza perdere la sua intima caratteristica poetica e poietica: la creazione di personaggi profondi e tridimensionali immersi in vicende poste sempre all’orlo di un baratro.
Sette Anime si presenta come un sequel ideale del sodalizio tra un regista italiano che l’America ha reclamato a gran voce, ed un attore che da anni ormai viene considerato il Re Mida del cinema, trasformando in oro tutto ciò in cui recita.

"Dio ci ha messo sette giorni a creare il mondo..."

Ben Thomas (Will Smith) bussa alla porta della benevola gente americana presentandosi come un funzionario dell’agenzia delle entrate. Dovrebbe controllare le loro finanze e riportare la loro situazione in pari con le casse dello stato. Al contrario, la sua è un’investigazione decisamente più intima che economica: una ricerca continua ed angosciosa di persone meritevoli, di sette anime da salvare per redimere se stesso. Dietro i sorrisi prestampati elargiti ai clienti e il costoso abito da lavoro, si nasconde, infatti, la tragedia che lo ha condotto verso questo comportamento apparentemente altruistico ed incomprensibile. Nell’osservazione di queste vite, Ben si imbatterà in Emily Posa (Rosario Dawson) che cercherà di sconvolgere i suoi piani, pur non conoscendoli, ponendolo innanzi ad una difficile scelta: riprendere a vivere o lasciarsi vivere.

L’idea alla base della sceneggiatura di Sette Anime è semplice e complicata allo stesso tempo. Mostrare un personaggio emotivamente multisfaccettato alle prese con una sorta di mistico viaggio di redenzione della propria anima. Sembra di trovarsi dinnanzi al prosieguo ideale di Alla Ricerca della Felicità: Chris Garden inseguiva l’idea di successo, per lui rinchiusa dentro le possibilità di riuscita economica di un uomo che combatteva incessanmente in maniera compulsiva, ma senza mai oltrepassare i limiti del giusto. Raggiunta la propria meta, sembra trasformarsi in Ben Thomas che sente invece la necessità di cadere, di abbandonare la posizione conquistata con tanta fatica e conquistarsi una ubicazione sociale che lo renda insignificante. Dopo aver raggiunto la vetta di una montagna, si deve inevitabilmente cominciare la ripida discesa. Il protagonista di questo secondo film americano di Gabriele Muccino sembra quasi voler insegnare questo, al di la di tutte le buone intenzioni che si immagina possano essere alla base delle azioni del personaggio e delle decisioni del regista.

La prima grande pecca di questo film si nasconde, e neanche molto bene, nello sviluppo narrativo della vicenda. Che Ben Thomas abbia qualcosa per cui doversi redimere, lo si intuisce fin dai primi minuti. Eppure la visione della tragedia che lo ha portato a ciò, viene dilazionata per tutto il film, attraverso frammentari flashback compulsivi ed evanescenti. Anche come voglia affrancarsi, ci viene mostrato ad inizio pellicola, con la precisa intenzione di creare curiosità e un certo alone di mistero attorno alla sua figura, provocando, tuttavia, un effetto decisamente contrario che dà il via alla lunga spirale di noia che accompagna l’intera visione. Seven Pounds, titolo originale del lavoro, sottolineava la missione da intraprendere: rifacendosi in maniera piuttosto esplicita al Mercante di Venezia di Shakespeare, l’attenzione veniva focalizzata sulla carne, o meglio, sulle libbre di carne, in questo caso sette (con un ovvio riferimento al dramma di cui è colpevole Ben), che venivano chieste al protagonista per poter estinguere il proprio debito. Il titolo italiano contribuisce invece a deviare lo spettatore, non traducendo il senso intimo del film, e spostando l’attenzione dal debitore ai creditori, le sette anime da salvare. A dire il vero, purtroppo, non tutte vengono mostrate ed approfondite all’interno della pellicola: la ricerca sembra condurre sempre alla stessa porta di ospedale e concentrarsi solo sulla prorompente Emily, tanto che viene da chiedersi il perché del voler inserire la presenza allusiva degli altri benefattori meritevoli, quando il tutto gira attorno alla figura della cardiopatica ragazza che non crede di essere degna di un trapianto di cuore perché considera la propria vita inutile. Inoltre, fin dal trailer, ci viene spifferato che una delle sette anime cambierà la vita dell’uomo, ma materialmente ci ritroviamo davanti ad un Will Smith sempre uguale a se stesso, languidamente deciso a portare avanti il proprio piano, indistintamente da ciò che incrocia per la propria via. Piatto, poco emozionante, quasi costruito a tavolino e decisamente incongruente ed a tratti incomprensibile.

"...io ci ho messo sette secondi a distruggere il mio."

La caratterizzazione dei personaggi è sempre stata una delle peculiarità di vanto del cinema di Muccino, che riusciva a trasformare e rendere estremamente interessanti ed affascinanti anche individui posti ai limiti della vicenda, brevi comparse che lasciavano un segno tangibile sulle azioni e sulle emozioni dei protagonisti. Se questa specificità viene veno, l’intero apparato registico comincia a vacillare. Fin dalla prima mezz’ora Sette Anime soffre, schiacciato sotto una costruzione narrativa lenta ed inconcludente. Si passa da momenti intimi, girati con la macchina a mano, realistici e funzionali, a situazioni eccessivamente caricate ed elaborate. Un mix che, in questo caso, è poco funzionale ed attribuisce alle scene una patina di falsità ed una certa bruttezza visiva che mai ci si sarebbe aspettati da una produzione di questo livello. Dialoghi che sembrano essere privi di ogni fondamento narrativo accompagnati da un montaggio che non predilige certo la chiarezza espressiva, ma che tende a muoversi senza senso all’interno di un non meglio identificato percorso motivazionale, poco cronologico, rielaborati da una fotografia che non si distacca dai tipici stilemi del dramma hollywoodiano, caricando molti quadri fotografici di irrealtà e falsità. L’unico elemento ben costruito dell’intera pellicola è la colonna sonora: un adeguato miscuglio di motivetti più o meno cantabili e dagli espliciti riferimenti testuali ed un continuo sottolineare di rumori che sembrano provenire dai recessi dell’anima, sistemati pazientemente e con estrema cura. Ma una discreta costruzione sonora da sola non basta a salvare un lavoro in definitiva borioso, insopportabilmente ottimistico ed emotivamente catartico.

Sette Anime Gabriele Muccino ha impiegato anni per costruire la propria reputazione stilistica e registica in Italia, e l'America lo aveva richiesto a gran voce desiderosa di approfittare del suo talento e delle sue capacità. Come il protagonista del suo film impiega sette secondi a distruggere una vita creata da Dio in sette giorni, così il regista italiano distrugge un lavoro di credenziali durato innumerevoli anni con Sette Anime. La critica americana ha distrutto la pellicola, il botteghino tende a non premiarlo come da aspettative e, mentre Sony cerca di spingere il film alla candidatura per gli Oscar, i Razzie (gli anti-oscar), invitano Muccino a "tornare in Italia e fare un altro Ultimo Bacio per ricordare alla gente come mai Hollywood lo voleva in prima linea".

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