Recensione Seta

Tessuto dozzinale per il bel romanzo di Alessandro Baricco

Recensione Seta
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Introduzione

Devo comunicarvi una cosa molto importante, monsieur. Facciamo tutti schifo. Siamo tutti meravigliosi, e facciamo tutti schifo.
Alessandro Baricco, Seta

Trama

Nel paese di Lavilledieu, in Francia, giunge, nella seconda metà dell’800, Baldabiou (Alfred Molina), che in breve tempo, e nonostante lo scetticismo del Sindaco (Kenneth Welsh), avvia una prosperosa produzione di seta, basata sulla coltivazione dei bachi. Coinvolge lo stesso figlio del Sindaco, Hervé Joncour (Michael Pitt), il quale rinuncia ad una avviata carriera militare per divenire il referente degli allevatori, che intraprende lunghi viaggi per approvvigionarsi di larve di bachi da seta. Allo scoppiare di un’epidemia di pebrina, malattia che uccide gli insetti, Hervé, che nel frattempo ha sposato Helene (Keira Knhightley), estende i suoi viaggi al misterioso Giappone (il Canale di Suez non è ancora aperto, quindi il viaggio è estremamente lungo e pericoloso) allo scopo di procurarsi larve incontaminate, ed entra in contatto con un potente nipponico, Hara Jubei (Koji Yakusho), finendo per innamorarsi di una sua concubina (Sei Hashina). I suoi viaggi diventano solo un pretesto per rivederla ed inseguire una passione che finisce per distaccarlo dalla moglie, apparentemente ignara della tresca. L’orientale non parla francese, ed i due comunicano tramite messaggi di lei in ideogrammi. A tradurre interviene la tenutaria di una casa d’appuntamenti, Madame Blanche (Miki Nakatani), responsabile di uno dei rari colpi di scena del film. Il finale, simbolico ed evocativo, dovrebbe spingere alla riflessione.

Cinema e narrativa

I rapporti tra cinema e narrativa sono, sin dagli albori della settima arte, stretti ed allo stesso tempo controversi. Diversi gli strumenti (la parola scritta da una parte, immagini, musica e suoni dall’altra); diverso il ruolo che si richiede a chi è messo di fronte all’opera: nel romanzo il lettore partecipa attivamente, con la propria fantasia, immagina luoghi, volti e situazioni, opera una mediazione che coinvolge la propria cultura, psicologia, sensibilità, fino ad instaurare un personalissimo rapporto con chi scrive, a far vibrare, grazie o nonostante l’autore, corde talvolta nascoste, impercettibili. Nel cinema tutto è già lì, sul grande schermo: immagini, volti, musiche inducono ad un rapporto che stimola, senza dubbio, il lato emozionale, ma, avvicinandosi in questo più alla pittura, alle arti figurative, in genere, obbliga ad un’interpretazione su elementi già presenti ed in qualche modo definiti. Certo, il linguaggio dei due metodi espressivi è differente, ed anche i mezzi per giungere all’opera definitiva sono profondamente diversi: nel romanzo è sufficiente l’autore, una penna e della carta (oggi, più realisticamente, un buon word processor), con una sola mente a concepire e realizzare l’opera, senza mediazioni e costi aggiuntivi. Nel cinema tutto si fa in équipe, diversi gli aspetti interpretativi da mettere a punto, spesso la sensibilità di chi cura l’interpretazione e la trasposizione del romanzo differisce da quella dell’autore. Il linguaggio, tecnicamente parlando, è poi diverso nelle sue forme d’espressione. Il cinema ha le sue regole, i suoi propri tempi narrativi, le sue convenzioni, ed è spesso difficile trasferire spirito, significati ed anche strutture formali dell’opera nell’equivalente cinematografico, anche in virtù di un aspetto più segnatamente commerciale che la produzione cinematografica finisce per privilegiare.
Potrebbero esserci innumerevoli esempi da citare, visti i rapporti comunque stretti fra cinema e letteratura, ma basta qui ricordare comunque che il terreno su cui il regista Francois Girard ha scelto di avventurarsi è irto di pericoli e presta il fianco a clamorosi errori.

Il romanzo

La struttura di Seta, è particolare: sebbene la vita di Hervé Joncour apparirebbe, agli occhi dei più, movimentata e ricca di spostamenti e di avvenimenti (come non farsi venire alla mente Marco Polo ed il suo Milione), Baricco ne sottolinea, di converso, la piattezza. Lo fa descrivendo viaggi lunghissimi in poche righe, cadenzandone la descrizione con una litania di frasi ripetute, sempre le stesse, in un movimento "a pendolo" che non fa che sottolineare solo alcuni accadimenti come vivi, o vivificanti, a dispetto di una routine tutto sommato amorfa e deprimente. La descrizione poi del suo protagonista è chiarificatrice: "Era d’altronde uno di quegli uomini che amano assistere alla propria vita, ritenendo impropria qualsiasi ambizione a viverla.Si sarà notato che essi osservano il loro destino nel modo in cui, i più, sono soliti osservare una giornata di pioggia. Se gliel'avessero chiesto, Hervé Joncour avrebbe risposto che la sua
vita sarebbe continuata così per sempre".
Il periodare è asciutto, secco, talvolta volutamente reticente. Non vengono mostrate le pieghe dell’animo dei personaggi, se non dalle azioni che compiono. Un’affermazione od un atto diventano così espressione che sottintende un percorso interiore, la punta di un iceberg che lascia al lettore investigazioni ed interpretazioni. Il romanzo è pervaso da un senso opprimente di noia e di scetticismo sulla natura dell’uomo, tutto è ridotto a rito, a ripetizione di atti e di pensieri, a passiva frustrante, espressione del quotidiano.
La passione accende il tutto, ma evoca sensi di colpa, dolori, fustigazioni interiori.
Il sesso irrompe poi alla fine, inaspettato, fuorviante, accusatore nel suo rimandare a realtà inconfessate ed inconfessabili, misura dell’errore e della colpa, beffardo epitaffio sulla cecità sentimentale ed umana del protagonista.
Il ruolo di Balbabiou/Demiurgo e di Helene, presenza costante ed inespressa, vero motore del romanzo, sottaciuto e disvelato infine come nel più calssico del thriller, fanno di Seta un'opera interessante, originale e complessa, profonda molto più della relativa brevità del narrato.

Il Film

Si è detto del terreno minato in cui si è avventurato il regista. Oltretutto, la gestazione cinematografica di Seta è durata un lustro, con l’autore reticente a concedere i diritti per la trasposizione a progetti che ne avrebbero, a suo avviso, deturpato messaggio ed istanze. Se ne deduce che l’imprimatur a questa versione su grande schermo sia stato dato dallo stesso autore.
Ed è il dato più inquietante.
La presenza di Helene, una delle caratteristiche più raffinate ed eleganti del romanzo, si fa qui pacchianamente esplicita e francamente inopportuna, pur comprendendo le necessità di ritagliare uno spazio più ampio ad una star del calibro della Knightley. Non si può non ricordare a questo proposito quanto fu in grado di fare Francis Ford Coppola con Marlon Brando in Apocalypse Now (trasposizione di Cuore di Tenebra di Conrad), valorizzando una presenza di pochi minuti, fino a far permeare di sé l’intero film. L’attenzione poi riservata all’esotico, al viaggio, alla patinata rappresentazione di ambienti non occidentali, finisce col perseguire l’effetto opposto rispetto allo scritto, che relegava il viaggio a stucchevole routine. La noia esistenziale di una vita piatta si perde nella noia per la lentezza del film, per la banalizzazione della storia d’amore.
Gli interpreti, poi, non aiutano. Michael Pitt, che conoscevamo per la partecipazione a The Dreamers di Bertolucci, è qui insipido e monocorde, laddove sarebbe stata necessaria una interpretazione in chiaroscuro, tutta giocata su sguardi ed espressioni che esprimessero contrasti, stati d’animo, sensi di colpa e passione. La Hashina è bella, la Knightley è brava, ma fuori posto. Si salva la recitazione del buon Molina, già apprezzato ne Il Codice Da Vinci (era il vescovo dell’Opus Dei Aringarosa), in The Hoax al fianco di Richard Gere (era anche il Dr.Octopus in Spiderman 2), ma che rimane nella memoria per la piccola parte della guida sudamericana nell’incipit de I Predatori dell’Arca Perduta di Spielberg. Anche Kenneth Welsh (ricordate il Vice Presidente USA antagonista di Dennis Quaid in L’alba del Giorno Dopo di Emmerich) presta con misura il suo ghigno antipatico nel ruolo del sindaco del paese francese.
L’unica nota di merito è per la fotografia di Alain Dostie, che aveva già lavorato con Girard in "32 short films about Glenn Gould", evocativa di toni pittorici ottocenteschi ed esaltante nei contrasti e nella rappresentazione di vedute panoramiche come negli interni. Le musiche del maestro Ryuichi Sakamoto, sono a tratti diabetizzanti (nel senso dell’iperglicemia) rispetto ai lavori precedenti.

Il Film

Seta La delusione è comunque netta. Baricco aveva costruito una passione che cresce senza bisogno del linguaggio, della comunicazione verbale, e che progressivamente ne divora un’altra. Qui si banalizza a livello di rivista patinata, si esprime ciò che doveva essere lasciato all’intuito, e la lentezza è a volte insopportabile. La recitazione è carente. Si salvano solo la fotografia e, a tratti, le musiche.

5

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