Gli Sdraiati Recensione: su Netflix approda un film cinico e inconcludente

Su Netflix arriva l'adattamento del romanzo di Michele Serra, una storia incapace di trasmettere il disagio generazionale di chi sembra chiuso in se stesso

Gli Sdraiati Recensione: su Netflix approda un film cinico e inconcludente
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Svogliati, bugiardi, così tristi da galleggiare sui limiti di un'apatica malinconia che cresce dal terreno di un'infanzia ormai passata, ma impossibile da dimenticare: sono questi i giovani scontrosi agli occhi dei loro affranti genitori, persone in divenire che non trovano la loro strada, ma che soprattutto sembrano non cercarla. Approcciano la vita con la pigrizia di chi è conscio di una sconfitta imminente, sordi alle esortazioni di quegli adulti che vorrebbero soltanto il meglio per loro, anche se nell'incitazione potrebbero apparire aggressivi.

Dopo cinque anni dal loro passaggio in sala arrivano anche in streaming Gli Sdraiati raccontati da Francesca Archibugi - li trovate tra i film Netflix di settembre 2022 - che adatta concedendosi qualche libertà creativa l'omonimo romanzo di Michele Serra datato 2013. La regista e sceneggiatrice romana - la ritroveremo a breve nei cinema con un nuovo adattamento letterario, questa volta a partire da Sandro Veronesi (date uno sguardo alle foto dal set de Il Colibrì) - dipinge il quadro triste e superficiale di una gioventù che rimane incomprensibile soltanto a quegli adulti dimentichi delle loro piccole tragedie infantili, perdendosi nella prospettiva inquinata di genitori apparentemente affidabili.

La dura vita del padre

Nel disagio di un ragazzo compresso tra le fatiche amorose, scolastiche e relazionali c'è lo spezzettamento di una vita familiare in frantumi: Tito (Gaddo Bacchini) è un adolescente costretto a dividersi tra gli affetti di genitori divorziati, avendo scelto di abitare a giorni alterni sia a casa della madre che in quella del padre, per impedire che uno di loro cadesse nella depressione della mancanza filiale. La pellicola, così come il bestseller italiano dal quale è tratta, segue con rigidità la prospettiva di Giorgio Selva (Claudio Bisio), padre di Tito e celebre conduttore televisivo, possessore di una parlantina sciolta e di un fine intelletto, ma assolutamente incapace nell'approcciare con la giusta convinzione il figlio scontroso.

Il giovane studente è svogliato e disordinato, brucia le pigre giornate con una banda di amici molto simili a lui, ma si allontana da loro quando si innamora di Alice (Ilaria Brusadelli), una coetanea trasferita da poco nella sua scuola. La ragazza è la figlia di Rosalba (Antonia Truppo), una donna che molti anni prima ha avuto una relazione clandestina con Giorgio, il quale comincia a temere il peggio quando scopre dell'amore che unisce Tito a quell'adolescente silenziosa entrata improvvisamente nella sua vita.

Prospettiva adulterata

La ristrettezza della visione generale, che dovrebbe invece essere ampia e generosa nell'abbracciare tutti i diversi punti di vista, fa subito scadere Gli Sdraiati nella pigra denuncia di un adulto che marchia tutti gli adolescenti come inavvicinabili, senza curarsi di scoprire cosa si celi dietro quell'apparente svogliatezza che sembra accompagnarli durante gli anni più tormentosi della loro gioventù.

Gli eventi della pellicola si muovono attraverso gli occhi di un padre che cerca in ogni modo di relazionarsi a suo figlio chiedendogli soltanto piccolissimi sforzi nel rispettare le regole della buona convivenza, come spegnere le luci quando si lascia una stanza oppure tenere in ordine la cameretta, ma il giovane si ribella con veemenza alle richieste come se il padre lo avesse esortato a spostare una montagna col pensiero. Nella prima parte del film va dunque a delinearsi un quadro familiare complicato ma quasi plausibile, al netto di qualche onesta esagerazione caratteriale, per poi spostarsi con cautela nell'ottica adolescenziale e ricercare nella sua quotidianità la radice di quei problemi che esplodono in casa. Eppure la sceneggiatura di Archibugi, spalleggiata dal collega Francesco Piccolo, rimane ancorata alla prospettiva inquinante degli adulti anche quando sullo schermo essi non sono presenti: i giovani visti nel film sono infatti davvero tristi, pigri e sboccati tra di loro così come con i genitori, ed i loro minuscoli problemi personali non sono sufficienti a contestualizzare i violenti moti di rabbia che scaricano contro chiunque tenti di approcciarli.

I dubbi sulla tecnica

Ciò che si delinea dalla pellicola è il ritratto di una generazione incapace di reagire, inutile e svogliata nonostante l'incitamento di chi prima di loro ha combattuto le stesse battaglie, anche se adesso sembra averlo dimenticato.

Gli adulti de Gli Svogliati non sono certo infallibili, ma ognuno è brillante e centrato nel suo analizzare gli sbagli passati e trasformarli in virtù attuali, mentre i loro figli sono animaletti fastidiosi ed arroganti che al massimo si sono guadagnati il diritto ad un paio di sberle. Il contrasto cinico e monotematico si sviluppa in una sequela di eventi fiacchi proprio come gli adolescenti visti nel film, sorretti da una colonna sonora soporifera che tutto appiattisce e mal supportato da una fotografia cupa ed oggettivamente mesta, piena di grigi e chiaroscuri incoerenti con la sottigliezza del racconto. Il titolo galleggia tra la drammaticità dei sentimenti ed alcune scene di rilassamento (nessuna delle quali è affidata a Claudio Bisio), fallendo nel caratterizzare entrambe con la giusta intensità e perdendosi in quell'inconcludenza che determina anche il finale, mentre la regia di Archibugi segue la storia con un'inusuale propensione ai movimenti orizzontali di camera, nonostante spesso i personaggi a schermo non si muovano, e abusando dell'oversound che anticipa di alcuni secondi le scene in arrivo, rendendo le sequenze confusionarie e inizialmente difficili da approcciare.

Gli sdraiati È un ritratto adulterato quello che Gli Sdraiati dipinge delle nuove generazioni, sporco della prospettiva apparentemente mistificatrice dell'età che trasforma i genitori in persone non infallibili, ma sempre capaci di contestualizzare i propri sbagli e trasformarli in virtù. Al contrario gli adolescenti sarebbero tristi e svogliati senza un motivo preciso, e si fanno forti delle loro debolezze caratteriali in gruppi sociali inermi, sordi alle esortazioni dei loro parenti che vorrebbero soltanto vederli sani e felici. Francesca Archibugi scrive e dirige un film dedicato a quei genitori incapaci di dialogare, ma appare fuori tempo massimo ed oggi potrebbe risultare indigesto anche a qualche nonno più moderno, perché non è affatto corretto ridurre le difficoltà adolescenziali ai capricci di una generazione viziata con la quale è impossibile parlare.

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