Sanctuary Recensione: sesso e potere in un film che non conquista

Margaret Qualley e Christopher Abbott sono i protagonisti di un'opera che si sforza troppo di piacere e stuzzicare.

Sanctuary Recensione: sesso e potere in un film che non conquista
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È vero, Sanctuary è un titolo che potrebbe senza ombra di dubbio attrarre qualsiasi tipo di spettatore. I motivi sono vari. I suoi protagonisti bellocci, oltre che bravi (ovviamente), la tematica sessuale in sottofondo, la scrittura di un'opera che vuole solo due personaggi chiusi nello stesso ambiente. La pellicola - tra i film in sala di maggio 2023 - è uno scontro emotivo e verbale che gingilla con le parole per stuzzicare le percezioni, ricorrendo ad allusioni piccanti, ma scavando ben più in profondità che nella sola curiosità del giochino sessuale messo in piedi dai protagonisti. Esplorandone un'intimità che corre su una sceneggiatura che si concentra totalmente sui dialoghi e su cosa nascondono dietro. Non soltanto, quindi, uno scambio fisico e verbale, ma l'analisi di cosa si cela nei meandri della mente - e sì, anche del cuore - dei personaggi.

Poca autenticità dietro ai giochi di potere di Sanctuary

A Sanctuary non mancherebbe perciò niente per colpire, entusiasmare, coinvolgere nel teatrino messo in piedi dalla giovane Rebecca e dal turbato Hal, se non fosse che l'impegno che l'opera ci mette è talmente pronunciato da risaltare ben più di quanto dovrebbe accadere.

Il voler sorprendere, scioccare, intrigare con la sola forza delle parole, delle discussioni tra i due, dei continui scambi di potere che i protagonisti alternano in un gioco al vetriolo su chi sarà il primo a cedere, risalta più di quanto bisognerebbe notare. Tutto è finzione in Sanctuary, lo sanno anche i personaggi. Ma fintanto che dobbiamo entrare in una storia e stare insieme a Rebecca e Hal - in questo caso, poi, da soli con loro in una stanza d'albergo -, allora un pizzico di umanità e verità in più ce li saremmo aspettati. Un non restituire un ritratto autentico di un rapporto evidentemente disfunzionale che, però, fila proprio per l'incontro di due disagi capaci di incastrarsi, ma che stanca per il continuo provare a voler scuotere o sorprendere il pubblico. Un cercare d'essere infervorati al punto che Sanctuary non riesce a contenersi. E così vediamo Rebecca e Hal muoversi come palline impazzite, pronte a schizzare da una parte all'altra della stanza, che si fa palcoscenico del film, come in un flipper che non ha intenzione di fermarsi. Quell'esagitazione è parte del distacco che la pellicola crea tra opera e spettatore, facendo intuire la sua completa onestà nel tentare di scardinare un'intimità sentimentale e sensuale portata più a impressionare, che a lasciare sconvolti per la sua immediatezza o sincerità.

Il bisogno di fare colpo

Lo stesso vale per le interpretazioni dei suoi protagonisti, Margaret Qualley (vista nella recensione della sorprendente miniserie Maid) e Christopher Abbott. Dalla presenza scenica impattante, cercando di sedursi a vicenda, ma, soprattutto, provando ad attrarre il pubblico, gli attori fanno il compitino che la sceneggiatura di Micah Bloomberg e la regia di Zachary Wigon richiede loro, seguendo le direttive e, per questo, rimanendo incastrati in un film in cui è il bisogno di fare colpo a primeggiare, anche nei suoi interpreti.

Qualley traina la pellicola, con Abbott che le sta perfettamente dietro senza sforzi. È però l'estremizzazione dei loro caratteri, volutamente "over", a sovraccaricare un racconto già abbondante di suo. Un inseguire il tono della pellicola, perciò, peccando dove lo fa anche la narrazione. Un giochino affascinante quello di Sanctuary, che non attecchisce però a fondo, quando vorrebbe anzi appassionare.

Sanctury Margaret Qualley e Christopher Abbott sono i protagonisti di una pellicola che si sforza troppo nel tentare di conquistare e intrigare gli spettatori. Sanctuary, pur affrontando discorsi e tematiche torbide, non riesce a restituire i conflitti di potere e le dinamiche disfunzionali nel rapporto tra i personaggi, rendendone consapevole il pubblico, ma cercando di far leggere troppo tra le righe un'intimità che la storia non riesce bene a trasmettere, non essendo totalmente sincera e venendo impostata solamente per stuzzicare lo spettatore.

6

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