Recensione Royal Affair

Evento storico e dramma passionale si fondono in un film che racconta un'importante pagina della storia della Danimarca

Recensione Royal Affair
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Danimarca, 1770. L'erede al trono Christian VII è divenuto re a soli diciassette anni prendendo in sposa la cugina Caroline Mathilda, sorella del re d'Inghilterra Giorgio III. Ma l'immaturità e l'instabilità mentale di Christian metteranno a dura prova il suo regno così come il suo matrimonio, facendosi egli sempre più estraniato (dopo aver comunque assolto ai suoi ‘doveri coniugali' con la nascita del primogenito maschio) dalla vita di coppia con la regina per dedicarsi invece ad attività extraconiugali molto poco ben viste dall'intera corte. Quando lo stato d'instabilità del re si aggraverà, i consiglieri decideranno di affiancargli un medico tedesco (Johann Struensee) dal curriculum molto valido ma anche dalle spiccate idee illuministe e liberali profondamente in conflitto con la mentalità ‘cortigiana'. Eppure, legati dal filo del teatro e della passione per le arti, Re e medico stringeranno ben presto una solida amicizia che spingerà Christian a fidarsi con sempre più fervore delle ‘proposte' di rinnovamento sociale e culturale avanzate da Struensee; idee che il fino a quel momento inascoltato re comincerà a caldeggiare con sempre più veemenza dinanzi al suo consiglio. Ma il momento d'idillio ed estemporaneo equilibrio sarà ben presto minato da un'altra passione nata tra gli insidiosi ambienti della vita di corte, ovvero quella tra il passionale Struensee e la giovane regina Mathilda. Una passione segreta che diverrà sempre più pericolosa, e destinata (prima o poi) a dare vita a un profondo e tragico dramma di corte.

Lotte 'illuministe' in terra danese

Quello che a prima vista può apparire come il classico dramma sentimentale in costume costruito attorno alle passioni e alle isterie di una corte ancora piegata a usanze medievali, diventa (attraverso gli occhi del regista danese Nikolaj Arcel) un ottimo strumento per indagare e ripercorrere una pagina di storia in cui illuminismo e moderne idee liberali si fanno strada in un Paese ancora recalcitrante alla transizione, ovvero la Danimarca. Forse anche grazie all'influenza dell'elemento passionale (espresso in ambito narrativo quanto estetico) mutuato dall'esperienza ‘dogmatica' (Von Trier è qui presente in veste di produttore esecutivo) il danese Arcel costruisce un prodotto filmico che possiede a un tempo un forte appeal drammatico così come uno spiccato senso del ‘vero'. Un risultato dovuto soprattutto alla capacità del film di circuire e poi approfondire la tensione ideologica di fondo che prende vita attraverso i rapporti incrociati dei vari protagonisti. Il mutare degli equilibri di una corte che riflette da vicino il mutamento di equilibri (e soprattutto squilibri) ancora da venire. Conciliando con metodo l'elemento storico del soggetto di partenza alla carica passionale dell'elemento drammaturgico (bravo e credibile in questo senso l'intero coro attoriale che ruota attorno al carisma di Struensee - Mads Mikkelsen - e all'altalenante follia del Christian VII di Mikkel Boe Folsgaard, premiato per questo ruolo come miglior attore al festival di Berlino 2012) Royal affair vanta il pregio di essere opera diffusamente appetibile ma anche (e soprattutto) importante strumento per ripercorrere o avvicinarsi per la prima volta al percorso storico e sociale di uno di quei Paesi del nord Europa che oggi compongono la sempre più ‘vicina' Europa, e dei quali ancora oggi abbiamo invece una conoscenza assai remota.

Royal Affair Doppiamente premiato al Festival di Berlino 2012 (Orso d’Argento alla miglior sceneggiatura e al miglior attore - Boe Folsgaard) arriva nelle sale Royal Affair, un ritratto passionale burrascoso della Danimarca di fine ‘700. Un film che infine trova il giusto equilibrio tra il dovere di resoconto storico e l’uso di una narrazione che, coinvolgendo, induce a riflettere su una pagina di storia di una terra non più così lontana.

7

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