Recensione RoboCop

Torna il robo-agente Alex Murphy!

Recensione RoboCop
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"Durante un meeting alla MGM, per parlare del prossimo film che avrei diretto, ho visto, sulla parete, un poster del primo RoboCop, e ho esclamato, ‘Ecco il film che vorrei fare!' È bellissimo, un'icona, un classico. E loro hanno replicato: ‘Ok, facciamolo'. È stata una coincidenza fortunata: uno studio provvisto del materiale adatto, con un dirigente che era un fan del film, ed un poster al momento giusto".
Il brasiliano classe 1967 José Padilha, autore del vincitore dell'Orso d'oro a Berlino Tropa de elite - Gli squadroni della morte e del suo sequel Tropa de elite 2 - Il nemico ora è un altro, ricorda la casualità che ha finito per renderlo regista del reboot di RoboCop, il super classico della fanta-azione che, diretto nel 1987 dall'olandese Paul Verhoeven, non solo ha generato diverse imitazioni, ma ha anche dato vita a telefilm, videogiochi, serie animate e due sequel rispettivamente a firma del compianto Irvin Kershner e di Fred Dekker.
Un super classico basato in fin dei conti su una trama non eccessivamente originale, se consideriamo che non poteva fare a meno di ricordare quella su cui venne costruita negli anni Settanta la serie televisiva L'uomo da sei milioni di dollari, con un colonnello dagli arti bionici installati nel suo corpo per sostituire quelli perduti in un incidente, ma al quale l'autore de Il quarto uomo e L'amore e il sangue seppe conferire un personale tocco di crudezza (quasi horror) decisamente atipico nel panorama dei blockbuster hollywoodiani del decennio di E.T - L'extraterrestre e Ritorno al futuro.

Uomini si nasce, robo-poliziotti si muore

"Negli anni Ottanta, l'idea di un essere composto da un uomo e da un robot era immaginabile solo in un lontano futuro, mentre noi la sperimentiamo proprio in questo momento. Le protesi, i droni, le automobili con la guida artificiale, sono tutti concetti che si stanno imponendo nella nostra vita quotidiana. Ovviamente, l'idea di un robot umanizzato suscita diversi interrogativi legali ed etici, ed Alex Murphy li incarna tutti: cosa succede se c'è un uomo all'interno della macchina?" prosegue Padilha.
Il suo lungometraggio, quindi, con un prologo che vede Samuel Jackson nei panni di un critico televisivo in collegamento con una giornalista che si trova a Teheran, dove pare che i robot vengano impiegati per fermare gli attacchi kamikaze, si svolge nell'America del 2028, nella quale la Omnicorp, società leader a livello globale nel campo della tecnologia robotica, trova inaspettatamente un'occasione d'oro per guadagnare miliardi di dollari quando Alex Murphy alias Joel Kinnaman, marito e padre premuroso che si adopera in tutti modi per combattere la dilagante ondata criminale di Detroit, si ritrova ferito gravemente, con tanto di corpo danneggiato in maniera non indifferente.

La nuova legge di Murphy

Infatti, come nella pellicola del 1987, da cui viene fortunatamente recuperato anche il mitico tema musicale, il protagonista finisce trasformato nell'essere metà uomo e metà macchina del titolo, stavolta, però, perfettamente cosciente e provvisto dei ricordi della sua normale vita umana.
Già questo aspetto, man mano che fanno la loro entrata in scena il Michael Keaton di Batman e il Jackie Earle Haley di Watchmen nei ruoli dell'amministratore delegato della Omnicorp Raymond Sellers e dell'addestratore Mattox, lascia intuire quanto l'intenzione dell'insieme sia quella di distaccarsi dall'autorialità del capostipite in favore di un'operazione destinata ad un grande pubblico sempre più affamato di cinecomic pullulanti effetti visivi e violenza da cartone animato.
Perché è pur vero che, mentre viene ribadito che gli uomini si possono corrompere e le macchine no, la critica al potere ed alle sue losche manipolazioni della giustizia rimane al centro del nuovo spettacolo su celluloide, ma i personaggi tirati in ballo - compreso un Murphy anonimo e reso decisamente meglio dal già non esaltante Peter Weller nei primi due film della serie - non possono fare a meno di apparire banali e privati di quell'affascinante ambiguità conferita a suo tempo dal tocco verhoeveniano.
A tal proposito, il più interessante appare senza dubbio il dottor Dennet Norton incarnato da Gary Oldman, ma il resto, al di là di qualche impressionante operazione a cranio aperto (elemento, questo, che sembra in un certo senso rimandare ad alcuni momenti di RoboCop 2), si mantiene dalle parti dell'edulcorata produzione priva di cattiveria e mirata a portare in scena un cyborg dalla quasi erotica corazza nera (non più grigio metallizzato) che, non lontano nel look da quello di Iron man, sfreccia anche su una possente moto richiamando alla memoria il Jesse Mach della dimenticata serie tv Street hawk - Il falco della strada.
Sarebbe sufficiente citare l'attacco proto-videogame al laboratorio della droga o paragonare l'impressionante uccisione di Murphy nel lungometraggio da cui tutto ha avuto inizio con l'insipido attentato qui proposto da Padilha per far capire quanto il suo film si avvicini più all'avventura per ragazzi alla RoboCop 3 che al violento poliziesco futuristico cui prese parte anche un Kurtwood Smith da antologia impegnato a incarnare il cattivo.
In sintesi, non pessimo, ma può conquistare, sicuramente, soltanto i giovanissimi amanti delle esperienze videoludiche e dei moderni effetti digitali, non del cinema d'intrattenimento che ha fatto (e sembra continuare a fare) la storia del genere.

RoboCop Con la versione dei Clash di I fought the law posta ad accompagnare i titoli di coda, la rilettura 2014 di RoboCop non va paragonata all’omonimo capolavoro diretto nel 1987 da Paul Verhoeven, in quanto mossa da intenzioni totalmente diverse. Di fedele al capostipite rimangono soltanto i grossi automi ED209 e poco altro, in quanto tutta la crudezza e la cattiveria presenti nella pellicola interpretata da Peter Weller vengono qui eliminate in favore di un edulcorato spettacolo su celluloide evidentemente volto all’edulcorato pubblico dei giovanissimi da cinecomic, con tanto di dinamiche da videogame. Il giudizio finale, quindi, non dipende altro che dai punti di vista, in quanto l’operazione accontenterà sicuramente la citata tipologia di spettatori, mentre non potrà fare a meno di apparire in più punti fiacca agli occhi di coloro che sono cresciuti con il mito cinematografico del robo-poliziotto Alex Murphy. In ogni caso, ci si chiede cosa ne sarebbe venuto fuori se, al posto di José Padilha, al timone di regia fosse stato messo Neill”Elysium”Blomkamp, forse il cineasta d’inizio XXI secolo più vicino alla visione verhoeveniana della fantascienza.

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