Recensione Robocop (1987)

Paul Verhoeven dirige nel 1987 il primo, leggendario, capitolo di Robocop, poliziotto metà uomo - metà macchina interpretato da Peter Weller, titolo che è giustamente assunto a cult.

Recensione Robocop (1987)
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Due sequel, un remake, una serie di fumetti, diversi videogiochi, action figure: come tutte le grandi saghe che si rispettino, anche quella di Robocop ha lanciato un sacco di produzioni extracinematografiche. Siamo nel 1987, a tre anni di distanza dal primo Terminator di James Cameron, e il pubblico sci-fi ha di nuovo tra le mani un cult immortale destinato ad entrare nella storia del genere. La genesi del cyborg-poliziotto non poteva avere miglior mentore che Paul Verhoeven, al suo secondo film in lingua inglese dopo il troppo spesso dimenticato L'amore e il sangue (1985), e trova nel volto spigoloso di Peter Weller la miglior incarnazione possibile. Pensare che in un primo tempo il candidato al ruolo di protagonista era stato addirittura Arnold Schwarzenegger, scelta poi bocciata dal regista in quanto si sarebbe dovuta costruire un'armatura ancora più grande del previsto. E senza vivere sui se, queste due scelte si sono rilevate le migliori per un titolo seminale entrato a diritto nella storia di genere (a differenza dei poco riusciti capitoli successivi).

Io sono la legge

Detroit, 1929. La città è invasa dalla criminalità e la polizia non riesce a tenere testa alle bande di malfattori. La ricca multinazionale OCP, che ha in procinto di costruire una nuova città, decide di stipulare un contratto con le forze dell'ordine e prepara dei progetti per mantenere le strade più sicure. Dopo che un droide in progettazione va in tilt provocando la morte di un membro del consiglio, l'ambizioso Bob Morgan propone ai piani alti di concentrarsi sull'idea di un vero e proprio cyborg, realizzato tramite resti umani e parti robotiche. Proprio in quel periodo Alex Murphy, un poliziotto da poco arrivato a Detroit, rimane brutalmente ucciso in un conflitto con la banda di criminali capeggiata da Clarence Boddicker, conosciuto anche come il "cop-killer". Il corpo esanime e mutilato di Murphy viene così utilizzato per dar vita a Robocop, metà uomo e metà macchina che si dimostra sin da subito un vero incubo per il crimine. Ma i ricordi dell'agente dentro l'esoscheletro di metallo non esitano a tornare a galla...

Dreams of a cyborg

Paul Verhoeven ha sempre fatto film intelligenti: riusciti o meno, la valenza delle idee del regista olandese è un marchio di fabbrica delle sue opere. Robocop rispecchia in pieno la visione amara e satirica del suo autore che, in una trama che ibrida abilmente il poliziesco con la sci-fi di matrice cyberpunk, non si fa mancare stoccate politiche e sociali presagendo un futuro non troppo distante dall'odierno presente, con la multinazionale creatrice del protagonista a fare il suo sporco gioco nel (quasi) silenzio generale. Ma il merito del cineasta è anche quello di unire l'utile al dilettevole, dando vita ad una perla action di primissimo piano, con sequenze e battute memorabili che trovano ampio risalto nel pirotecnico finale. Figlio di una violenza alquanto spinta per i tempi, tanto che la versione uncut è stata rilasciata per l'home video soltanto qualche anno fa, il film non manca di digressioni morali rimandanti alla filosofia asimoviana e nelle figura dell'uomo-macchina osa anche riferimenti cristologici non così scontati. Con un protagonista metallico (design e armatura curati dal mago degli effetti speciali Rob Bottin) nel quale non tarda a balenare un barlume della solo apparentemente persa umanità, la rincorsa agli effetti speciali era più che ovvia: ma anche in questo caso il cineasta li gestisce con un efficace parsimonia, dando libero sfogo soprattutto nelle avvincenti scene che vedono Robocop affrontare il droide ED-209, animato magnificamente in tecnica passo uno da Phil Tippett.

Robocop Violento e satirico, Robocop è ancor oggi una pietra miliare degli anni '80, uno di quei film che non passa mai di moda. Vuoi perché fotografava lucidamente un futuro ormai prossimo, vuoi per gli elementi ludici che permeavano una narrazione non certo leggera, il cult di Verhoeven è un titolo ancor oggi attualissimo, in una commistione tra sci-fi e poliziesco action-oriented con pochi eguali. E in questa combattuta dicotomia tra uomo e macchina ci si trova ad empatizzare facilmente con un protagonista strappato alla vita ma pronto a riportare la giustizia laddove regna solo il caos.

8.5

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