Il ritratto del Duca Recensione: l'heist movie più british di sempre

Roger Michell ci lascia una piccola perla di comicità e di irriverenza, mettendo in scena una storia vera raccontata con i crismi della satira inglese

Il ritratto del Duca Recensione: l'heist movie più british di sempre
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Roger Michell ci ha lasciato da pochi mesi, il 22 settembre 2021, senza poter sapere nulla di più sulla causa della sua morte, avvenuta a 65 anni. Ricordato per lo più per aver firmato la regia di Notting Hill e di titoli come Rachel (recuperate qui la nostra recensione di Rachel) e Venus, Michell nel 2020 era arrivato a Venezia per presentare Il Ritratto del Duca, film che arriva al cinema postumo, in attesa di poter vedere anche Elizabeth: A Portait in Parts, che vedremo nel corso di quest'anno e che sarà di fatto la sua ultima pellicola. Intanto con la storia vera di un uomo che decise di rubare un dipinto preziosissimo ha saputo farci sorridere ancora una volta, come ai tempi in cui ci raccontò la storia d'amore tra una star di Hollywood e uno scapestrato libraio inglese.

L'incredibile storia della National Gallery

Kempton Bunton vive gli anni Sessanta nel pieno dei suoi sessant'anni: ha visto la guerra, le grandi lotte per l'umanità, le vuole continuare e le sostiene strenuamente. Sogna di diventare un drammaturgo, per lo più per dare sfogo al grande dolore che condivide con il resto della famiglia: la morte di sua figlia per un incidente in bicicletta a soli diciotto anni.

Un lutto che nessuno vuole affrontare in casa, tantomeno i suoi altri due eredi. Kempton, oltre questo difetto, ne ha un altro molto più grande: difende la maggior parte delle cause perse contro il Governo, tra cui quella del canone per la BBC. Gli ultimatum della moglie non lo spaventano, perché lui è deciso a dare una svolta alla propria vita e alla condizione di grande umiltà che vive il suo villaggio: per farlo decide di rubare un famoso dipinto di Goya, il ritratto del Duca di Wellington, dalla National Gallery, per chiederne così il riscatto da vero e proprio Robin Hood dei giorni nostri. La storia di Kempton Bunton è una vicenda che l'Inghilterra ha saputo imparare quasi a memoria: nato effettivamente nel 1904 e morto nel 1976, è a oggi l'unico a esser stato in grado di effettuare un furto dalla blindatissima National Gallery di Londra, avvenuto nel 1961. La storia, raccontata già nel drama pubblicato dalla BBC nel 2015 e intitolato "Kempton and the Duke", torna adesso con le edulcorazioni di Michell, che la rende una storia irriverente, divertente, satirica e ironica. La storia di Kempton, che agli onori della cronaca passò soltanto nei primi momenti per poi finire quasi nel dimenticatoio, arriva a ricordare quella di Vincenzo Peruggia, che divenne famoso, in Italia, per aver trafugato la Gioconda di Leonardo Da Vinci dal Louvre nel 1911, con l'obiettivo di rivenderla agli Uffizi per qualche milione di lire. Un'altra storia che al cinema ha trovato ampio spazio, grazie anche ad Antonio Banderas e al film Lovers, Liars and Thieves.

Un eccezionale mattatore di scena

A dare vita al personaggio di Bunton c'è un ottimo Jim Broadbent, che riesce a tenere il ritmo altissimo nonostante l'età avanzata e a restituirci una figura eccezionale del ladro inglese.

Helen Mirren, che interpreta la moglie morigerata e ammantata di umiltà, sia nella vita che nel lavoro, finisce per essere quasi sovrastata dall'esuberante personalità di Broadbent, che si lascia accompagnare dalle melodie swing e jazz di tutto il titolo per danzare da Newcastle a Londra e inseguire il sogno di essere il nuovo Robin Hood. L'espansività dell'attore è ben orchestrata da Michell, che nel corso del film va anche a seminare delle indovinate scelte di inquadratura atte a nascondere il vero finale del lungometraggio, noto soltanto a chi ha voluto infilarsi nei dettagli dell'episodio reale. La scelta di Michell, inoltre, ci porta a vivere due linee narrative parallele in grado di farci sperimentare un dramma su altrettante scale e ambientazioni. All'interno delle mura domestiche, in quella che è una dimora molto frugale, si vive una vicenda da camera, capace di farci ritrovare a disagio dinanzi alla funambolica vita di Kempton, così come ai suoi scialbi tentativi di diventare un drammaturgo di successo per estirpare quel dolore che lo fa sentire perennemente in colpa per la morte della figlia. Dall'altro lato, evasi dai domiciliari, il protagonista ci fa vivere la sua lotta sociale, il suo sogno di diventare un Robin Hood di Newcastle disposto a perdere anche il lavoro pur di far valere i diritti del prossimo. Un sindacalista fatto e finito che li prova tutti, i lavori: dal tassista al panettiere, finendo sempre per ritrovarsi senza il becco di un quattrino.

Un bel ritmo per una vicenda anglosassone

Michell così facendo ci permette di vivere sì una storia surreale che però sposa la realtà dei fatti, ma allo stesso tempo di riflettere su alcune tematiche cardine della nostra società. Già con Notting Hill, d'altronde, l'autore non voleva solo soffermarsi sulla superficie di una storia d'amore, ma spingerci a scavare in profondità per scoprire cosa si nascondeva dietro il social gap. Anche in questo caso la vicenda inerente il dipinto di Goya viene calata in un contesto sociale molto complesso che pretende si faccia una riflessione sulla spesa compiuta dalla National Gallery per riportare a casa un dipinto dal costo spropositato. La famiglia Bunton, disgregata per la maggior parte del film, finisce per essere fondamentale per meglio comprendere il messaggio che il regista di origini sudafricane vuole raccontarci.

Con una regia molto ritmata, in grado di far vivere con grande intensità i 90 minuti del titolo, e allo stesso tempo attenta a giocare con le ambientazioni giuste, passando dalla casa al tribunale per il processo finale, Michell gioca anche con la nostra attenzione, riproponendoci alcune inquadrature più di una volta, così da costruire una vera e propria anafora registica che rende ancora più divertente il registro comico. L'umorismo della scrittura risulta essere tipicamente inglese e vi confessiamo che, avendolo visionato in lingua originale, c'è il rischio che qualche battuta si possa perdere in fase di traduzione, ma confidiamo nel lavoro di adattamento. In una storia che, nel suo essere un high concept atipico, ha davvero bisogno di essere apprezzata in ogni possibile linea di dialogo.

Il ritratto del Duca Il ritratto del Duca è un film ironico, gagliardo, tenuto in piedi da un ritmo molto veloce, che non ci lascia mai annoiare, grazie anche a un protagonista irriverente, divertente, surreale, eroe delle cause perse. La vicenda, sin da quella originale, ha un qualcosa di magico e di incredibile, e il modo in cui Michell la racconta la rende ancora più anglosassone. Il titolo ha proprio in questo il suo pregio e la sua più grande pecca, perché l'umorismo affrontato potrebbe non appartenere a tutti e non essere gradito ai più: il risvolto narrativo finale, però, merita un plauso per la capacità del regista di costruire un'opera coerente e nascondendo un mistero non necessario per apprezzare il lungometraggio nel suo complesso, ma che comunque finisce per impreziosire ancora di più l'esperienza.

7

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