Ritorno al Bosco dei 100 Acri, la recensione: alla ricerca dell'infanzia perduta

Christopher Robin non è più un bambino, è ormai cresciuto e ha una missione: ritrovare l'infanzia perduta con Winnie e gli altri nel Bosco dei 100 Acri.

Ritorno al Bosco dei 100 Acri, la recensione: alla ricerca dell'infanzia perduta
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Per il Benjamin Button di Francis Scott Fitzgerald e David Fincher, il tempo scorreva al contrario. Era destinato a scontare tutti i dolori e i rancori della vecchiaia in piena giovinezza, mentre con il passare degli anni ritrovava vitalità, forza e speranza. Una vita del tutto immaginaria, mossa da un meccanismo contrario alle leggi del mondo reale. Da questo lato della pagina e dello schermo infatti siamo programmati per crescere man mano, passando dall'infanzia all'adolescenza, dall'età adulta all'anzianità, perdendo e guadagnando pezzi del nostro essere strada facendo.
La maturità ci permette cose altrimenti impossibili da ragazzini, allo stesso tempo però ci costringe a "lasciare indietro", lungo il cammino, alcuni tasselli fondamentali della nostra purezza - come ci ha ricordato, facendoci piangere, Bing Bong in Inside Out.
Un ingranaggio obbligato da cui nessuno può fuggire, neppure Christopher Robin, il bambino protagonista della serie letteraria di Winnie the Pooh (ispirato inoltre al vero figlio di A. A. Milne, il creatore dell'orsetto goloso di miele). Nel nostro immaginario, il piccolo Christopher è un vispo bambino sempre pronto a zompettare nel Bosco dei 100 Acri in compagnia degli animali che lo abitano, dallo stesso Winnie al mattacchione Tigro, passando per Ih-Oh e il "coraggioso" Pimpi.
Questo accadeva negli anni '20 però, negli anni '50 le cose sono molto cambiate e quel bimbo dolce e innocente è diventato un uomo d'affari, un dipendente di una grossa compagnia londinese sull'orlo del fallimento, motivo per cui al suo interno i nervi sono tesi come corde di violino ed è necessario del lavoro extra per salvare il salvabile.

Un mondo in bianco e nero

Bisogna trovare al più presto un'idea, un modo semplice, veloce e poco dispendioso per vendere più valigie, ovvero per convincere gli inglesi a comprarle, ma il tempo stringe. Già, il tempo, che scorre inesorabile all'interno degli uffici e inghiotte tutti indistintamente, dall'alba al tramonto, nei giorni feriali come in quelli festivi.
A farne le spese è chi resta a casa in attesa di una carezza, di un bacio della buonanotte, di una vacanza in campagna lontano dal traffico e dal rumore cittadino, come Evelyn e Madeline Robin, moglie e figlia di Christopher.
In veste di businessman con tonnellate di responsabilità sulle spalle, il signor Robin non ha molto tempo da dedicare agli affetti, figuriamoci per ricordare gli amici di un tempo, quegli animali coccolosi che sono il simbolo della sua infanzia - ora palesemente perduta.
Si dice però che per risalire la china bisogni prima toccare il fondo più fondo, così in un giorno nuvoloso e triste, intriso di solitudine, accade qualcosa di magico e inaspettato: Winnie the Pooh scova una porta che dal Bosco dei 100 Acri porta dritta a Londra, nel giardino di Christopher. È l'inizio di una nuova, incredibile e commovente avventura.

Parlare prima agli adulti, poi ai bambini

Cosa abbia in mente la Disney, di recente, è chiaro a tutti: trasformare alcune delle sue più grandi opere animate in film live action, con attori in carne e ossa e creature fantastiche mosse dall'avanzata computer grafica odierna. È successo alla Bella Addormentata nel Bosco con Maleficent, al Libro della Giungla e accadrà ancora con Dumbo, attenzione però a sottovalutare le intenzioni dei vari progetti, in particolare di Ritorno al Bosco dei 100 Acri.
Dal mondo di Winnie the Pooh ci si potrebbe aspettare un colorato film rivolto soprattutto ai più piccoli, dai toni scanzonati e innocenti, Alex Ross Perry e Allison Schroeder, gli autori della sceneggiatura, hanno invece stravolto tutto ciò che era possibile stravolgere, scrivendo e realizzando (aiutati dal talento di Marc Forster alla regia) un lungometraggio perlopiù cupo, malinconico, colmo talvolta di una sana tristezza e nostalgia, con personaggi umani e animali maturi e cresciuti, che parla prima agli adulti che ai bambini.

La questione infatti è estremamente seria, nel Bosco dei 100 Acri come nella caotica Londra: nella foresta il sole splendente è stato coperto da una fitta nebbia e gran parte dei vecchi amici di Christopher sono spariti, motivo per cui Winnie se ne va in giro a chiedere aiuto, in città invece - come abbiamo anticipato - c'è spazio solo per il lavoro, le preoccupazioni, la gente cammina a testa bassa e ha perso qualsivoglia istinto fanciullesco.
Ha insomma smarrito la capacità di ridere e guardare il mondo a colori, come farebbe qualsiasi piccino. Un quadro alquanto "tragico" nella finzione cinematografica come nel mondo reale: guardatevi intorno appena un istante e capirete quanto questa storia sia dolorosamente attuale.

Infanzia perduta

Mamma Disney si è presa dunque un bel rischio, discostandosi dal mondo sognante di A. A. Milne, ma per una buona causa: Ritorno al Bosco dei 100 Acri colpisce un nervo scoperto della nostra contemporaneità, quella perdita del "fanciullino" pascoliano che ci ha resi più aridi e meno sognanti. Certo l'età adulta comporta anche delle responsabilità, lavorare è fondamentale e necessario, non può esistere soltanto la spensieratezza infantile, e il film Disney sorprende anche nella "soluzione" finale al problema.
Non si ripudia completamente la crescita e gli impegni, in favore di un ritorno incondizionato alla corsa nei boschi, al contrario si porta l'immaginazione, la poesia, l'ingegno, l'astuzia, un po' di sana follia e incoscienza sul posto di lavoro e nella propria vita. L'invito dunque è a crescere con coscienza ed equilibrio, a diventare adulti continuando a inseguire l'ombra sfuggevole di Peter Pan, per noi stessi come per i nostri figli - che da noi assorbono energie, umori e desideri.
Ovviamente tutto questo viene raccontato tramite immagini e situazioni poetiche e surreali, che suscitano sì commozione ma strappano anche più di una sana risata, soprattutto nella parte finale più sfrenata e giocosa del resto dell'opera. Valore aggiunto di Ritorno al Bosco dei 100 Acri sono sicuramente i personaggi che lo animano, siano essi uomini o pupazzi. Ewan McGregor è un Christopher Robin cresciuto a dir poco eccezionale, un ruolo complesso sia tecnicamente (con scene da recitare in solitaria in ambienti digitali) che umanamente, con sfumature caratteriali del personaggio che coprono una vastissima gamma di emozioni.

A prendere gran parte della scena però sono ovviamente Winnie the Pooh, Tigro, Ih-Oh e Pimpi (che recentemente abbiamo letteralmente intervistato), ricreati su schermo in maniera sbalorditiva e doppiati meravigliosamente, con voci "adulte" ma funzionali - sia in lingua originale che in italiano.
Il loro imprevisto sbarco nella Londra anni '50 dà vita a un'avventura decisamente fuori dagli schemi, adatta ai bambini come ai sognatori, ma soprattutto a quegli adulti che - crescendo - hanno abbandonato la loro infanzia nel lontano e nebuloso mondo dei ricordi, che ora guardano tutto in sfumature di grigio.

Ritorno al Bosco dei 100 Acri La Disney, con discreto coraggio, abbandona colori e atmosfere sognanti dell'originale mondo di Winnie the Pooh per creare un'opera a tratti cupa e malinconica, spingendo un cresciuto Christopher Robin a ritrovare un po' di sana immaginazione e follia, elementi propri dell'infanzia. Il risultato è un film riflessivo ma divertente, doloroso ma spensierato, adatto a tutta la famiglia ma soprattutto a quegli adulti che non inseguono da tempo l'ombra di Peter Pan.

7

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