Chris Kenner, poliziotto di Los Angeles, è nato e cresciuto in Giappone dove da piccolo ha assistito al brutale assassinio dei suoi genitori, uccisi da un membro della yakuza. Per via della sua infanzia e della conoscenza della lingua, Kenner è spesso impiegato in operazioni di controllo a Little Tokyo, distretto nipponico della Città degli angeli. Durante la sua ultima missione gli viene affidato il nuovo compagno Johnny Murata, per metà americano e per metà giapponese, che non concepisce gli usi e costumi orientali. Pur inizialmente incompatibili i due uomini scoprono un grosso traffico di droga facente capo allo spietato Yoshida, gangster della yakuza che guardacaso si rivela essere proprio l'assassino dei genitori di Kenner, per il quale inizia ora una vera e propria missione di vendetta che sarà resa ancor più complicata dall'entrata in scena della bella Minako, cantante di night-club nonché donna del boss.
Showdown in Little Tokyo
Inutile negarlo, senza la tragica morte di Brandon Lee oggi di Resa dei conti a Little Tokyo non si ricorderebbe quasi nessuno, eccetto i più strenui ammiratori dell'universo b-movie. E invece dopo la prematura scomparsa sul set del successivo cult Il corvo (1994), il primo film hollywoodiano dell'attore figlio del grande Bruce ha avuto una fin troppo generosa riscoperta nel mercato home video. Operazione canonica di quegli anni, buddy-cop movie dal budget risicato vedente come altro e complementare protagonista il granitico Dolph Lundgren, che non dice nulla di realmente nuovo pur provando a tirare in mezzo la mafia giapponese con i suoi usi e costumi, purtroppo resi spesso con imprecisione nell'evoluzione degli eventi. Il regista Mark L. Lester, già autore di un altro "classico" del filone quale Commando (1985), non fa nulla per variare dai comuni stereotipi, proponendo un susseguirsi di sequenze d'azione (tra night club, saune e capannoni abbandonati) in maniera abbastanza banale, tolta parzialmente la resa dei conti finale tra Kenner e il boss Yashida (un cattivissimo Cary-Hiroyuki Tagawa, il più convincente del cast) a colpi di katana nel bel mezzo di una parata folkloristica nipponica. Tra situazioni estreme, includenti anche torture a base di scariche elettriche e fughe all'ultimo minuto da macchine in fase di demolizione, non prive di una certa violenza, il classico risvolto romantico atto a mostrarci le grazie di una giovane Tia Carrere e il più prevedibile degli epiloghi, l'alchimia tra Lee e Lundgren non ingrana mai del tutto (e non a caso, dato che sul set i due pare non si sopportassero) tra battute ad effetto che strappano solo in rare occasioni qualche risata, mai però quanto la bandana col simbolo del Giappone indossata dall'interprete svedese nell'ultima parte.