Quando l'anziana Edna, che soffre di Alzheimer, scompare nel nulla, la figlia Kay e la nipote Sam si mettono in viaggio per raggiungere la casa della donna, che viveva lì completamente sola dopo la morte del marito.
Le due eredi trovano le varie stanze disseminate di strani bigliettini e cominciano a sentire degli inquietanti rumori provenienti dalle pareti, ma vi danno inizialmente poco peso in attesa di sapere che fine ha fatto la matriarca.
Edna qualche giorno dopo ricompare improvvisamente come nulla fosse, ma non intende raccontare niente di quanto accaduto nei giorni di lontananza. Dal suo ritorno la nonna comincia però a manifestare dei comportamenti inusuali, da scatti di rabbia a fenomeni di sonnambulismo, che mettono in agitazione Kay. Quest'ultima inizia a pensare che rinchiuderla in una casa di cura sia la sola soluzione rimasta.
Ma nel frattempo la situazione degenera, e la scoperta di alcune stanze segrete non fa che acuire un mistero che rischia di compromettere per sempre il futuro dell'intera famiglia.
Le vie del successo
Acclamato da gran parte della critica tra i migliori film indipendenti della scorsa stagione, Relic è in realtà un'operazione molto furba, che sfrutta le tematiche horror per raccontare la decostruzione di un rapporto familiare, che comprende ben tre generazioni della stessa famiglia.
Natalie Erika James, regista e sceneggiatrice, è qui al suo esordio assoluto in un lungometraggio e sembra aver già imparato come realizzare un cinema redditizio dal punto di vista pseudo-artistico, ma poco solido nelle sue dinamiche di genere. I momenti di tensione non mancano, soprattutto nella parte finale dove una singola, breve, sequenza, potrebbe disturbare gli spettatori più impressionabili, ma il gioco di continua atmosfera sospesa che caratterizza gran parte della visione finisce per risultare un astuto espediente stilistico/narrativo.
In Relic si ha la sensazione che tutto sia stato costruito a tavolino per generare suddette sensazioni e i vari guizzi che si susseguono qua e là risultano, se non scontati, quanto meno intuibili: giusto l'epilogo offre una sorpresa inaspettata, per quanto non del tutto verosimile.
Non per tutti
Chi è in cerca dell'orrore classico, qui limitato a poche sequenze che si rifanno ai canoni del filone - rumori nelle pareti, aree segrete e labirintiche, movenze alla Samara/Sadako e così via - troverà poco pane per i propri denti, mentre per chi è pronto ad approcciarvisi in un'altra ottica, ben diversa, Relic potrebbe regalare diverse soddisfazioni.
Come detto l'uso del genere per fini cosiddetti "superiori" è una pratica sempre più diffusa tra i titoli usciti negli ultimi anni e chi è interessato a uno scavo psicologico dei personaggi potrà rintracciarvi diverse sfumature drammatiche di non poco conto, dal tema della malattia - qui destinata a conseguenze ben lontane dalla realtà - a quello della lontananza tra madre e figlia e sulle relative scelte da prendere per il bene dei propri cari.
In racconti come questo sono necessari interpreti all'altezza e se la quasi ottantenne Robyn Nevin sfodera una performance di tutto rispetto nei panni della figura più scomoda, la giovane Bella Heathcote se la cava nella parte più semplice. A brillare su tutte è però il talento, sempre cristallino, di una Emily Mortimer con la quale ci troviamo a riflettere su temi importanti e scelte difficili.
Relic è il classico film realizzato per compiacere la critica, o almeno gran parte di essa. Sfrutta toni e atmosfere horror, con momenti effettivamente ricchi di tensione e terrore nel tour de force finale, per raccontare il decadimento di un nucleo familiare di sole donne, con mamma e figlia che hanno ignorato i malesseri dell'anziana nonna. Quando essa scompare, le due donne scoprono nella sua casa degli inquietanti misteri. Stilisticamente ineccepibile, con toni drammatici equilibrati ma parzialmente "finti", l'operazione può spingere il pubblico a riflettere su tematiche certamente importanti, sul senso di famiglia e di appartenenza, ma il gioco estetico e narrativo pare così costruito e ragionato da eliminare qualsiasi barlume di originalità. Ci troviamo di fronte a un'opera interessante e divisiva, potenziale oggetto d'analisi introspettiva, intrisa di una furberia che rischia di renderla non adatta a chiunque.