Real Steel, recensione: il clamoroso uppercut di Shawn Levy

Shawn Levy mette a segno un uppercut clamoroso: la recensione dell'adrenalinico Real Steel.

Real Steel, recensione: il clamoroso uppercut di Shawn Levy
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Un regista specializzato in commedie messo al timone di un blockbuster sci-fi a tema sportivo, tratto da una storia di uno dei più grandi scrittori di fantascienza del ventesimo secolo.
O meglio, Shawn Levy che porta al cinema Richard Matheson. Questa sì che pare fantascienza.
Per chi non lo sapesse, Levy è il regista di pellicole come La Pantera Rosa, Notte folle a Manhattan e il dittico Una notte al Museo. Film divertenti e ben realizzati, senza dubbio, ma certamente assai distanti dalle atmosfere dei libri e dei racconti di Matheson, tra gli autori di genere più 'saccheggiati' da cinema e tv negli ultimi sessant'anni (ricordiamo, tra gli altri, Io sono leggenda, da cui è stato tratto il noto film con Will Smith). Eppure, il progetto ha fin dall'inizio avuto il beneplacito di due guru del cinema come Steven Spielberg e Robert Zemeckis, e la produzione è andata spedita e funzionale tanto che, in circa due anni, ecco arrivare nei cinema questo Real Steel, a dispetto di ogni scetticismo iniziale.

Il campione del popolo

Stati Uniti d'America, anno 2020.
La boxe, da sempre uno sport tra i più popolari nel Paese, ha da qualche anno cambiato faccia. Abolito il pugilato 'umano' a causa della maggior richiesta di spettacolo e violenza da parte di un pubblico poco interessato ai tecnicismi, la disciplina è diventata ora una competizione fra automi, fra colossi di ferro manovrati da ingegneri e allenatori specializzati. Uno di questi è Charlie Kenton (Hugh Jackman), una volta grande promessa della boxe 'vera' e ora riciclatosi come allenatore di robot di seconda categoria. Testardo, impulsivo e, soprattutto, indebitato fino al collo, trova l'unico conforto a una vita di sconfitte in Bailey (Evangeline Lilly), figlia del suo defunto mentore e antica fiamma di gioventù. Perseguitato dai creditori, Charlie trova una via d'uscita inaspettata nell'affidamento momentaneo di suo figlio Max (Dakota Goyo), abbandonato alle cure della madre fin dalla più tenera età. L'uomo, inizialmente reticente ad accettare la presenza del ragazzo, scoprirà presto che buon sangue non mente...

Acciaio vero

L'amicizia, travolgente e ritrovata, tra un padre e un figlio, due esseri dalle grandi potenzialità ma con un trascorso difficile alle spalle. Curiosamente e significativamente accomunati da un terzo outsider, un robot trovato in una discarica e apparentemente buono solo a fare da sparring partner per i veri lottatori d'acciaio. Questa l'ossatura, forse non particolarmente originale ma decisamente solida, su cui si fonda il film, arricchita da una vicenda sportiva che definire 'classica' è dir poco.
Real Steel è un omaggio a tutti i film sulla boxe che guardavo quando ero ragazzo, insieme ai miei fratelli. Alcuni li avrò visti persino cinquanta volte!”. Parole dello stesso Levy, e che appaiono assolutamente veritiere. Partendo dal soggetto di Steel, racconto di Matheson già trasposto in video in un noto episodio di Ai confini della realtà, Levy e gli sceneggiatori John Gatins, Dan Gilroy e Jeremy Leven hanno palesemente immaginato una sorta di mash-up tra due classici con Sylvester Stallone: Rocky e Over the top. L'ispirazione non è dichiarata esplicitamente, ma i richiami sono fin troppi, e pensando ai due grandi produttori citati poc'anzi, non viene difficile pensare al facile 'effetto nostalgia' di cui possono essere fautori.
Real Steel, ad ogni modo, da' ragione a due vecchi adagi: ovvero che le apparenze ingannano e che...gallina vecchia fa buon brodo, a patto che la si cucini a dovere. Cosa che Levy ha dimostrato inaspettatamente di saper fare, unendo effetti speciali e azione ad un cuore pulsante fatto di belle interpretazioni e vividi sentimenti.

La recensione continua a pagina 2!

Se hai una sola opportunità, sfruttala

La tagline del film è stata presa in parola dal regista, che ha preso tutto il meglio di quello che potevano offrire cast e troupe e li ha messi al servizio di una storia sempre avvincente e che non soffre mai di momenti di stanca, riuscendo anzi ad emozionare sinceramente a più riprese e nel modo più semplice: con i rapporti umani. Ancora una volta vediamo lo zampino di Spielberg e Zemeckis in alcuni topoi dei rapporti padre/figlio e uomo/macchina, ma anche qui non ci troviamo di fronte ad una minestra riscaldata, bensì ad un mix di ingredienti gustosissimi -in primo luogo personaggi e situazioni realistiche e ben costruite- insaporiti da ottime prestazioni attoriali. Charlie rappresenta sicuramente una delle prove più riuscite della carriera di Jackman, un ruolo che gli sembra cucito addosso e in cui può dare adito a tutte le sfaccettature di cui è capace: l'atleta, il sex-symbol, lo sbruffone, il cuor d'oro. Il piccolo Dakota, invece, mantiene la freschezza della sua età assieme ad una innata capacità di 'bucare lo schermo' con poche mosse. Un talento che speriamo di vedere spesso all'opera, in futuro.

Atom vs Zeus

Altrettanto contenti possiamo ritenerci dal punto di vista tecnico: il film vanta una bellissima fotografia, che alterna gli spazi angusti di un ring con le assolate praterie americane, dando scorci futuristici ma soprattutto futuribili decisamente apprezzabili e soffermandosi sui particolari importanti, scandendo il tutto con emozionalità. Altra scelta largamente apprezzabile è quella di non rendere i robot combattenti dei mech troppo ricercati esteticamente, rendendo invece bene il loro essere macchine assemblate per essere funzionali, più che semplicemente 'cool'. Davvero ottimo, dunque, il lavoro sul mecha design, non volto a rendere accattivanti a tutti i costi i robot -magari in vista di uno sfruttamento dei personaggi sul mercato dei giocattoli- quanto a realisticamente differenziarli a seconda dei loro proprietari. L'integrazione fra modelli reali dei robot, computer grafica e motion capture, poi, grazie all'innovativa tecnica Simul-Cam B avviene con naturalezza e grande spettacolarità.

Real SteelFinora avevi raccontato tante belle storie, ma questo è il tuo primo 'vero' film”. Queste le parole, a quanto pare, di Spielberg a Levy, una volta vista la pellicola completa. E in effetti il film del regista canadese ha tutte le migliori carte che un film tipicamente yankee possa sfoderare: alti budget, ottimi effetti speciali, tanta azione emozionante e decisamente 'fisica' ma anche delle tematiche largamente sentite dal pubblico, e affrontate con molta onestà e trasporto. Un film che ha cuore, fegato, e cervello, come i grandi pugili. Che fa tesoro degli insegnamenti passati, schiva la facile retorica e trova subito dove affondare i colpi nel modo migliore. Colpito nel suo punto debole, il pubblico va KO. Felice e contento.

8

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