Raya e l'ultimo drago, la recensione del nuovo classico Disney

Un fantasy ricco d'azione e avventura sulla fiducia e la collaborazione con una nuova principessa anti-canonica e multietnica.

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Cinquecento anni fa il mondo di Raya e l'ultimo drago viveva in armonia, in quella che era conosciuta come Kumandra. Un solo e unico continente dove regnava pace e la cooperazione tra umani e draghi, esseri mistici in grado di donare acqua e benessere a tutta la popolazione. D'un tratto però arrivò il Druun, l'odio incarnato sotto forma di virus in grado di moltiplicarsi a una velocità sconcertante e trasformare con il solo tocco uomini e draghi in pietra, rubandogli l'anima. Cominciò a diffondersi il male, la sfiducia e la paura ovunque, finché i draghi non riuscirono a sconfiggere e scacciare il Druun sacrificandosi per il bene del mondo, soprattutto grazie a Sisu, il cui spirito si tramutò in una gemma dal potere sconfinato.

Anziché unirsi e collaborare nuovamente, gli uomini si rivoltarono gli uni contro gli altri per il possesso della magia residuale dei draghi, mettendo fine al Kumandra e separandosi in cinque territori conosciuti come Coda, Artiglio, Dorso, Zanne e Cuore. La gemma venne poi nascosta nelle Terre del Cuore, protetta per generazioni dai capi del territorio fino ad arrivare a Raya, ultima guardiana della Gemma che dovrà sua malgrado affrontare il ritorno dei Druun.

Vibrazioni asiatiche

Per stessa ammissione dei due registi, Don Hall e Carlos Lopez Estrada, Raya e l'ultimo drago è nato dalla volontà di raccontare un'epica storia d'avventura dal sapore fantastico e multietnico, partendo prima di tutto dai viaggi e dalle esperienze del team creativo nel sud est asiatico. In effetti il nuovo classico targato Disney è un concentrato di tutti questi elementi che rendono il film qualcosa di differente per il recente corso del cinema d'animazione dello studio, dal worldbuilding ispirato e davvero originale, variopinto, ricco di colori e territori da ammirare ed esplorare insieme a una nuova principessa che è insieme evoluzione del carattere indomito e intrepido di Vaiana e del cuore puro di Elsa.
Tecnicamente, Raya e l'ultimo drago è privo di sbavature concrete e importanti: tutto è al suo posto e in sano equilibrio tra le parti, dalla struttura delle diverse ambientazioni fino alla caratterizzazione espressiva ed estetica dei tanti personaggi che popolano l'universo d'azione. Il livello delle animazioni, i panorami mozzafiato, la creazione di strutture, edifici, di flora e di fauna unici fanno di Raya un titolo dall'impronta esotica e particolare, oltre che donargli una caratura visiva opulenta, ad esempio anche nel design dei draghi, che sembrano guardare a dei My Little Pony meglio concepiti e più affascinanti (in verità ricordano anche quelli della mitica puntata dei Simpson in viaggio in Cina).

Anche la regia di Don Hall e Carlos Lopez Estrada è abbastanza puntuale nei vari momenti che compongono il film, soprattutto nei primi 40 minuti del titolo, dove tra prologo, introduzione di Raya e salto temporale si va avanti senza freno a mano tirato, con grande ritmo e competenza. Si avverte soprattutto l'incidenza della visione di Hall nelle sequenze più dinamiche e di combattimento, ma d'altronde non poteva essere altrimenti data la sua convincente esperienza con Big Hero 6, che resta ancora oggi il classico Disney con le migliori scene d'azione di sempre.

C'è un momento in cui sembra persino citare se stesso, Hall, quando mette al padre di Raya una maschera kabuki simile a quella del cattivo del suo precedente lavoro. Dettagli, certo, ma sono anche questi a valorizzare la composizione di un'opera cinematografica, ed è bello riconoscere il taglio di un talento valido come quello di Hall.

Un classico multietnico contro ogni divisione

Altra profonda differenza rispetto agli ultimi classici Disney è l'impalcatura narrativa del film, che evita volontariamente e in qualsiasi soluzione la forma musicale. Non ci sono canzoni, non ci sono momenti cantati, nemmeno un'impronta pop tipicamente americana con cui curare in qualche modo il valore contenutistico di questa o quella scena. Semplicemente le rifiuta, puntando a un diverso stile armonico e melodioso scegliendo la strada dell'immagine e del fantasy praticamente a tutto tondo à la The Last Airbender, mettendo al centro del discorso non solo il singolo ma il team, il lavoro di squadra, la fiducia reciproca.
Questa è proprio l'impalcatura fondante del racconto, che però la seconda parte del film non riesce quasi mai ad approfondire a dovere, paradossalmente proprio a causa dei troppi personaggi da gestire e del poco tempo a disposizione. Raya funziona infatti magnificamente nella parte introduttiva e introspettiva della missione della protagonista principale, perdendosi poi nei meandri di alcuni cliché narrativi via via che ci si avvicina al finale. Non convince nemmeno pienamente la gestione del rapporto d'amicizia tra Raya e Sisu, che resta comunque una co-protagonista energica e spiritosa, con un grande messaggio da trasmettere.

Nel momento stesso in cui si entra nel vivo del film, questo sembra aumentare i giri del motore del racconto senza però cambiare tempestivamente marcia, riprendendosi spesso a singhiozzi e rischiando in più occasioni di bruciare la frizione narrativa prima della sua naturale conclusione. In sostanza è un ripetersi fin troppo statico di eventi che non lasciano sorpresi, con piccole variazioni qui e lì per differenziare il corso della storia, dove persino i combattimenti e l'azione, a un certo punto, subiscono un calo drastico d'entusiasmo.

Al netto della bellissima, attuale e forse addirittura importante morale, in conclusione, la sceneggiatura di Qui Nguyen e Adele Lim non sembra riuscire a far coesistere la magia del mondo d'ambientazione con quella del valore non intrinseco ma più superficiale del racconto, che ha comunque anima a sufficienza per non lasciare disinteressati o affranti i cuori del grande pubblico. Vedere comunque una principessa tanto forte e insicura, così ambivalente in ogni momento della sua missione e in ogni sua relazione, è come assistere a una decisa messa a fuoco sul tema della collaborazione e della fiducia in sé stessi e nel prossimo attraverso gli occhi di una protagonista sensibile e implacabile, con il solo scopo di riportare il mondo a essere Kumandra di nuovo.

Raya e l'ultimo drago Raya e l'ultimo drago di Don Hall e Carlos Lopez Estrada è un classico Disney che sembra rifiutare volontariamente e in ogni situazione l'elemento musicale o musicato, puntando a un diverso tipo d'armonia e melodia a partire dall'immagine e fino ad arrivare alla morale del contenuto. Il livello tecnico e del worldbuilding è straordinario, puntuale, variopinto, multietnico e spettacolare, ma è nella seconda e più sostanziosa parte della sceneggiatura che il film sembra arenarsi su troppi cliché narrativi, presenti come scogli pronti ad arginare le onde più energiche del racconto. Forse a causa dei troppi personaggi, forse perché non ci sono sorprese particolarmente entusiasmanti o anche per un calo della qualità dell'azione via via che ci si avvicina al finale, ma Raya non sembra riuscire a far coesistere del tutto la magia dell'ambientazione con quella della narrazione, anche se resta un racconto solido e dalla morale attuale.

7

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