Rapito Recensione: Marco Bellocchio colpisce al cuore la Chiesa

Marco Bellocchio torna al cinema con Rapito, raccontando la storia vera di Edgardo Mortara, rapito dallo Stato Pontificio nel 1858.

Rapito Recensione: Marco Bellocchio colpisce al cuore la Chiesa
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Vi siete mai chiesti quando la morale cattolica è entrata nella vostra vita? C'è stato un momento di consapevolezza in cui avete compreso quanto tutto sia permeato dallo spettro del cristianesimo? Il battesimo non è una scelta che compiamo, sicuramente non poco dopo la nascita, così come difficilmente siamo consapevoli di comunione e cresima. Li prendiamo come atti dovuti, naturali, perché fanno appunto parte della vita quotidiana italiana. Ma sono atti "imposti", dei quali ci accorgiamo solo a posteriori. E se non ci riuscissimo mai?

È proprio quello che lo stiletto di Marco Bellocchio pungola nei nostri occhi con Rapito, film in sala di un autore italiano che emana politica da ogni suo poro. Dopo l'incredibile racconto di Aldo Moro (qua la nostra recensione di Esterno notte), Bellocchio torna indietro nella Storia del nostro Paese andando a ripescare il caso di Edgardo Mortara, bambino ebreo rapito dallo Stato Pontificio nel 1858 perché segretamente battezzato. Strappato alla propria famiglia per essere allevato come cattolico, facendogli rinnegare la sua vita per imporgliene un'altra. In maniera sottile, come una Sindrome di Stoccolma della quale ti accorgi troppo tardi.

Il bambino rapito dalla Chiesa

Difficile capire a 6 anni cosa sta succedendo. Perché tua madre è in lacrime, perché quegli uomini e quei preti ti stanno portando via. Non c'è più casa tua, c'è un collegio.

Non c'è più la preghiera che recitavi con la famiglia prima di dormire. Ora ce n'è un'altra. Anzi, tante altre. Edgardo Mortara è stato battezzato all'insaputa di tutti e viene rapito dallo Stato Pontificio e da Papa Pio IX. Perché la loro legge all'epoca proibiva che un bambino cattolico fosse cresciuto dagli ebrei. Perché esiste un solo vero Dio, una sola vera religione e due gocce d'acqua sulla fronte di un neonato, senza testimoni a confermarle, erano a tutti gli effetti legge. Quella religiosa, appunto. Marco Bellocchio mette in scena con affilata lucidità un attacco diretto al Vaticano e ai dogmi cattolici, prendendo la vicenda di Edgardo come esempio particolare per mettere in luce l'ipocrisia e l'evanescenza della Chiesa, squagliando come neve al sole il concetto stesso di religione. Lo fa inserendosi totalmente nella Storia italiana, com'è nella sua cifra stilistica, rimarcando una tradizione atea che tenta di arginare la pervasione quasi totale del dogma nelle nostre vite.

Immorale cattolica

Nessuno sconto viene fatto da Bellocchio in Rapito, non c'è pietà verso la Chiesa (sapevate che Bellocchio ha scritto a Papa Francesco chiedendogli di vedere il film?). Solo una famiglia che rivorrebbe il proprio figlio, plagiato durante la sua crescita in una sorta di racconto di (disin)formazione, perché a Edgardo viene continuamente insegnato che la religione cattolica è l'unica, vera, corretta, alle cui leggi tutti devono sottostare.

Marco Bellocchio mette in scena le due anime del film, quella inevitabilmente fanciullesca del gioco, dell'immaginazione, attraverso una Bologna che richiama De Chirico nelle sue architetture e quella cattedratica della Chiesa e di Roma, dipingendo con la macchina da presa dei tableau vivant che inglobano Edgardo e la sua indipendenza fanciulla. Dalla gonna della madre alla gonna del Papa-padre. Il Pio IX di Paolo Pierobon si staglia fuori dal tempo (il suo), campione di una Chiesa anacronistica che l'attore rende teneramente luciferino, così come i sottoposti imbevuti di dottrina di Filippo Timi e Fabrizio Gifuni, perfettamente in parte, trinità contro cui Edgardo non può nulla. Empatizzare con lui è automatico, anche grazie a Enea Sala, che interpreta il piccolo protagonista con la capacità di farci immedesimare subito in un dolore per lui insondabile, ma che gli rovinerà la vita. Così come ai suoi genitori, splendidamente dipinti da Fausto Russo Alesi (il Cossiga di Esterno notte) e Barbara Ronchi.

Il cappello sul letto

Se qualcuno di voi ha ascoltato Veleno, il podcast di Pablo Trincia, sentirà inevitabilmente delle tristi somiglianze con la vicenda di Edgardo Mortara. Soprattutto nella Chiesa cattolica che si insinua come una malattia nella mente del bambino, plagiandolo giorno dopo giorno, senza lasciargli via di fuga, rompendolo all'interno come si fa con un cane che non vuole obbedire

Marco Bellocchio instilla queste due anime in Rapito: la lenta discesa negli inferi della religione e le stoccate rapide e chiare alla stessa. Il caso storico serve da miccia ma l'esplosione arriva fino ai giorni nostri e a questa Chiesa, alla fine non tanto lontana da quella del film: Pio IX, dopotutto, è stato beatificato da Giovanni Paolo II. E quindi Bellocchio riesce a colpire rabbiosamente attraverso l'impotenza di Edgardo, tramite scritte che grondano sangue porporato e mettendo sullo stesso identico piano religione e superstizione. Dopotutto, tenere un crocifisso al collo ci protegge dal male, e non appoggiare il cappello sul letto fa la stessa identica cosa, no?

Rapito Marco Bellocchio continua a colpire con il suo cinema civile e politico. Tramite Rapito racconta la storia di Edgardo Mortara, bambino ebreo portato via dalla sua famiglia dallo Stato Pontificio perché segretamente battezzato, ma in realtà colpisce la Chiesa cattolica tutta, i dogmi, la religione, abbattendo con rigida dolcezza un sistema che continua a permeare la vita dell'Italia. Lo fa tramite un film composto, capace di squarci improvvisi e affondi fin dentro al cuore porporato del cattolicesimo, che non può nascondersi di fronte alla sua vera natura.

8

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