Rapina a Stoccolma, la recensione: Ethan Hawke, il ladro gentile

Ethan Hawke nella parte di un ladro gentiluomo in Rapina a Stoccolma tratto dalla vera storia che ha poi dato origine alla famosa Sindrome.

Rapina a Stoccolma, la recensione: Ethan Hawke, il ladro gentile
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Quante volte avete sentito parlare, nel corso della vostra vita di Sindrome di Stoccolma? Si tratta di un particolare stato di dipendenza psicologica che si manifesta quando la vittima di un episodio di violenza, o di un rapimento, finisce per provare dei sentimenti positivi verso il proprio aggressore, arrivando persino a innamorarsene.
Tra vittima e carnefice si instaura così un'alleanza, una morbosa complicità, per il pubblico esterno alquanto incomprensibile. Ebbene, il nome della sindrome è stato coniato in seguito a un sequestro avvenuto il 23 agosto del 1973 all'interno della Sveriges Kredit Bank, raccontato adesso nel nuovo Rapina a Stoccolma di Robert Budreau. Un grottesco heist movie biografico prodotto da chi, nel recente passato, ha finanziato anche BlacKkKansman di Spike Lee e interpretato da tre volti ultra noti del panorama mondiale, Ethan Hawke, Noomi Rapace e Mark Strong.

Mani in alto, questa non è una rapina

Siamo dunque a Stoccolma nel 1973 e Lars Nystrom (nome fittizio del vero Jan-Erik Olsson) irrompe all'interno di una banca del centro per creare caos e scompiglio. I suoi piani non riguardano il prendere quanto più denaro nel più breve tempo possibile e scappare via, tutt'altro: l'uomo, creando una situazione alquanto surreale, si accerta che l'allarme sia scattato e che il capo della polizia arrivi presto sul posto. L'obbiettivo è far scarcerare l'amico e "collega" Gunnar Sorensson, scappando poi insieme a bordo di una Ford Mustang con il bagagliaio riempito all'inverosimile di banconote non segnate, queste le richieste di quello che è già stato soprannominato - per un colpo passato - "il ladro gentile", poiché sempre attento ai bisogni dei suoi ostaggi, soprattutto se anziani.
Lars Nystrom infatti non riesce in alcun modo a essere duro o cattivo con chi ha di fronte: recita un copione, fa la parte del maschio alfa e tenta di imitare un famoso ladro americano, con tanto di giubbotto da biker e parrucca, in cuor suo però è un ragazzone tenero e genuino, come dimostra il rapporto con la dattilografa Bianca Lind all'intero della banca, con cui scatta subito qualcosa di "indefinito".
La ragazza è già sposata e ha due figli che l'aspettano a casa, tuttavia la sua vita è l'emblema della noia e della routine, motivo per cui probabilmente una figura come quella di Lars le apre un mondo completamente differente, fatto di illegalità e adrenalina. Rapina a Stoccolma però non è certo una commedia romantica, si destreggia lungo un filo di flebile tensione e lo spettatore non sa mai cosa aspettarsi, vista l'atmosfera surreale che il goffo rapinatore/sequestratore tende a creare per tutta la durata dell'attacco.

Accontentatemi o farò una (finta) strage

Sotto i riflettori c'è, ancor prima del rapporto fra Lars e Bianca, quello fra il criminale e il capo della polizia, con l'uno che sottovaluta costantemente l'altro, in una trattativa al ribasso che suscita più di una risata. Ci troviamo infatti davanti a un heist movie fuori da qualsiasi schema, privo della classica adrenalina e pieno invece di ironia e buoni sentimenti: i protagonisti principali hanno una tale voglia di rinnovarsi, di riscattare le loro misere vite che il pubblico non può che parteggiare immediatamente per loro - anche perché dall'altra parte abbiamo grezzi poliziotti e un ridicolo comandante che pensa di conoscere ogni mossa altrui in anticipo, sbagliando puntualmente.
Se Bianca ha l'esistenza incastrata all'interno di un matrimonio di routine, Lars sogna di raccogliere abbastanza soldi da partire lontano e ricominciare da zero, magari con l'amico fraterno di una vita, con cui si spalleggia sin dall'infanzia. Rapina a Stoccolma è dunque una storia di disperazione, passione e desiderio, il cui orizzonte è sempre incerto, cambia in continuazione, spingendo senza troppa fatica lo spettatore verso la fine dei suoi 92 minuti.

A giocare un ruolo chiave sono proprio i talentuosi interpreti, che colorano una sceneggiatura altrimenti piatta, che avrebbe forse necessitato di un brio maggiore in fase di direzione e di montaggio. Tuttavia a bilanciare la situazione ci si mette - come detto - l'assurda partita giocata fra la polizia e i criminali, che intrattiene al punto giusto, "pepata" inoltre dalla condizione degli ostaggi, praticamente mai ostili e per lunghi tratti pronti persino a spalleggiare i sequestratori. Una storia vera che ha dell'incredibile (e che non a caso ha dato origine alla famosa Sindrome collegata a Stoccolma), raccontata con cura ma senza particolari guizzi, in maniera forse un po' svogliata. Purtroppo.

Rapina a Stoccolma Vi siete mai chiesti da dove nasce la famosa Sindrome da Stoccolma? Potete scoprirlo grazie alla storia al centro di Rapina a Stoccolma, una sorta di heist movie biografico che in realtà non ha nulla del "film di rapina" classico. Zero adrenalina, situazioni al limite dell'assurdo, ostaggi che prendono le parti dei criminali, poiché sempre gentili e incapaci di far male ad anima viva (tranne forse che a loro stessi). Proprio dal rapporto "malato" fra l'impiegata Bianca e il "ladro gentile" Lars nasce un legame particolare, infarcito di passione e desideri irraggiungibili per entrambi. Una vicenda certamente fuori dal comune, una rapina/ricatto che in realtà si trasforma in una grottesca gara fra malviventi e poliziotti, gli uni più impacciati degli altri, raccontata in modo lineare e senza particolari guizzi.

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