Recensione Rabbit hole

E' possibile superare un dramma che ti ha cambiato la vita?

Recensione Rabbit hole
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Quasi dieci anni fa, con esattezza nel 2001, il Sundace Festival ha premiato con verdetto unanime la regia del film “Edwig, la diva con qualcosa in più”. Quella stessa giuria, come anche il pubblico e con ogni probabilità lo stesso regista John Cameron Mitchell, non poteva sapere che di lì pochi anni lo stesso autore avrebbe dato forma ad uno dei film più brillanti dell’ultimo quarto di secolo: Shortbus.
Universalmente riconosciuta come una pellicola d’autore d'incredibile intelligenza, Shortbus spalancò le porte della notorietà al signor Mitchell, che, da sempre appassionato di arte, cinema e musica contemporanea, si è dedicato per anni alla regia di videoclip musicali. Tornato oggi in gran forma ci propone un film diverso da tutti i suoi lavori precedenti, tratto dalla struggente piece teatrale di Davi Linsday-Abaire: Rabbit Hole, il devastante diario di bordo di una coppia che ha visto tragicamente morire il proprio figlio. Tra lacrime e qualche sorriso ci godiamo il film, seduti comodamente in poltrona e ci armiamo di grandi aspettative.

Dopo la tragica scomparsa del loro unico figlio, Becca ed Howie Corbett non riescono a ritrovare gli equilibri perduti. Lo shock è così forte che né il tempo né i gruppi di sostegno più disparati riescono a placare il vuoto che oramai da otto mesi devasta il loro rapporto. Quando Gabby, l’immatura e petulante sorella minore di Becca, annuncia la sua prima gravidanza, gli equilibri già precari si sgretolano gettando la coppia in una crisi apparentemente irrecuperabile. Scavando nel loro passato i due comprendono che per riprendere a vivere devono affrontare i fantasmi che da troppo tempo ignorano somatizzando la sofferenza. Mentre Becca tenta di avvicinarsi a Jason, il giovanissimo studente che erroneamente ha investito suo figlio, Howie tenta di fuggire all’opprimente depressione di sua moglie cercando di liberare la testa. In realtà il dolore che investe entrambi è così violento che solo ritrovando se stessi riusciranno a ricostruire gli equilibri.

John Cameron Mitchell è un uomo estremamente intelligente. L’ironia che ha sempre accompagnato le sue produzioni si riflette, in una veste infinitamente più delicata, in questo ultimo film. Rabbit Hole racconta di una coppia che ha perso la speranza, rassegnata a un dolore che non potrà mai essere colmato. E’ questa consapevolezza che li distrugge. Entrambi di ottima estrazione sociale, soffrono l’incapacità di appellarsi alla religione, ai gruppi di sostegno e alla famiglia. Ecco quindi che pagano l’amara perdita solo sulla propria pelle. Soffrono da soli, chiusi in un dolore che credono esclusivo, incomprensibile per chiunque altro, anche per il proprio partner.
La svolta davvero affascinante è l’attaccamento ad una visione più spirituale verso la scienza: “è la legge dei grandi numeri, se l’universo è infinito ci sono mondi in cui siamo felici. E’ di consolazione pensare che in un'altra dimensione nessuno di noi soffra, siamo felici con il nostro bambino”. Becca è una donna di poche parole, pragmatica e dall’indole concreta, il modo migliore per accettare quanto successo è sempre stato sotto i suoi occhi: le relazioni umane. E’ la chiave del film sono proprio le relazioni: anche se noiose ed artefatte restano il nostro unico punto di contatto con la realtà, contrapposte all’isolamento che causa un dolore così intenso da sopraffare qualunque altro sentimento.
Dai toni grezzi e con un linguaggio cinematografico assai intelligente, Rabbit Hole gode in modo particolare dell’interpretazione dei due attori protagonisti, Nicole Kidman ed Aaron Eckhart, perfettamente in linea con la parte, grazie a loro dimentichiamo di star guardando un film ed anzi, riusciamo ad immergerci appieno nella storia. Nonostante la morale di fondo malinconica e sottotono Rabbit Hole offre il più maturo dei barlumi di speranza: la possibilità di rialzarsi in piedi, sopportando le devastanti ferite.

Rabbit Hole Rabbit hole è un film struggente, ricco di spunti di riflessioni e di elementi brillanti. Una visione intensa per tutti gli appassionati, ben lontano dalle pellicole a cui Mitchell ci aveva precedentemente abituato, dimostra nuovamente che si tratta di un regista ancora tutto da scoprire

7

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