Recensione Quattro notti di uno straniero

Immobilismo autoriale e cinematografico che trae ispirazione dal racconto Le notti bianche di Dostoevskji

Recensione Quattro notti di uno straniero
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Le notti bianche, breve e intenso racconto di Fyodor Dostoevskij sulla condizione auto-limitativa ed estraniante dell'uomo è stato più volte adattato per il cinema. A fornire la personale visione cinematografica di Le notti bianche si sono infatti avvicendati nomi di celebri registi come il russo Ivan Pyryev (Belye nochi), l'italiano Luchino Visconti (Le notti bianche, con protagonista Marcello Mastroianni), il francese Robert Bresson (Four Nights of a Dreamer) e, in tempi più recenti, perfino l'americano James Gray (che con Two Lovers - interpretato da Joaquin Phoenix e Gwyneth Paltrow) offre una rilettura contemporanea del tema letterario del celebre autore russo, ovvero l'analisi del groviglio di tensioni negative e positive che si rivelano all'occasionalità di un incontro. Fabrizio Ferraro, filosofo del linguaggio e fotografo ancor prima che regista, rielabora con una nuova, anestetizzante estetica visiva la matrice esistenziale del racconto (pubblicato per la prima volta nel 1848) del celebre scrittore russo, riadattandone i tempi con una definitiva e statica cristallizzazione spazio-temporale.

Tra staticità ed estrema autoreferenzialità

In Quattro notti di uno straniero (secondo capitolo di una sorta di dittico sulla incomunicabilità amorosa iniziato con Penultimo Paesaggio e che ritorna ancora una volta, in una Parigi senza tempo, sullo sfiorarsi di due esistenze che non si raggiungono mai) Ferraro abbandona la parziale fluidità e cronologia narrative del testo di partenza, poi trasportate (ad esempio) anche in Le notti bianche di Luchino Visconti, dove la parabola del processo di conoscenza aveva un chiaro crescendo evolutivo. In Quattro notti di uno straniero, invece, Ferraro si assesta su un linguaggio scarnificato nel suono e nell'immagine, ridotto a un ingombrante silenzio e alla mera contemplazione di due corpi in orbita in una Parigi anestetizzata e anestetizzante. L'immobilismo relazionale immaginato da Dostoevskij raggiunge dunque il suo parossismo massimo, divenendo sterile osservazione di una fluidità di vita che scorre (lungo le acque della Senna e a bordo dei battelli) affianco (e mai dentro) le esistenze dei protagonisti. Poche inquadrature e lunghissimi piani sequenza s'immergono in un bianco abbacinante di privazione dei sensi e sentimenti che mostra un barlume emozionale solo all'imbrunire. Diceva Fitzgerald che "In una notte dell'anima veramente oscura sono sempre le tre del mattino, giorno dopo giorno". Ferraro prova a descrivere questa reiterazione con l'astrazione estetica di quella stessa luce di un buio che non si rischiara mai. Lo fa attraverso un film che non cerca (neanche tenta) lo scambio con lo spettatore ma che si ripropone piuttosto di restare confinato nella rappresentazione di sé stesso. Un'opera esitante che rappresenta lo spazio bianco di un'attesa mai realmente consumata, chiusa nella staticità di un racconto che rimane inerte sullo sfondo di un bianco e nero ‘eternizzante' e che non può non indurre lo spettatore a un conseguente immobilismo emozionale. Cinema sperimentale di rara (eccessiva) autoreferenzialità che, nonostante il nobile intento di far confluire letteratura e cinema in un fine discorso sulla difficoltà comunicativa, alla fine spreca la sua chance trincerandosi dietro al monologo artistico. Il cinema italiano ha sicuramente bisogno di un cinema d'autore solido che stemperi la mediocre omogeneità delle nostre produzioni, non bisogna però scordare che (come in ogni cosa) l'equilibrio va cercato nel compromesso, ovvero in un'opera che abbia qualcosa da dire e che cerchi di dirla usando un linguaggio capace di arrivare a tutti (o, quantomeno, a qualcuno).

Quattro notti di uno straniero Fabrizio Ferraro firma con Quattro notti di uno straniero (liberamente ispirato al racconto Le notti bianche di Dostoevskij) il secondo capitolo di un dittico sulla incomunicabilità. Tema che diventa poi anche mezzo di un film che non cerca uno scambio con il suo pubblico di riferimento, cristallizzandosi in uno spazio bianco di silenzio e immobilismo. Ostico e (per certi versi) irraggiungibile, Quattro notti di uno straniero pecca di un’autorialità estremamente (ed eccessivamente) autoreferenziale che ne impedisce la fruibilità e tradisce (di fatto) la sua stessa esistenza.

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