Terzo e ultimo capitolo (dopo l'esordio di L'uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code) della trilogia degli animali di Dario Argento, Quattro mosche di velluto grigio vede la luce nel dicembre del 1971 ottenendo da subito un buon successo di critica e di pubblico, nonostante nell'immaginario cinefilo venga considerato, erroneamente, uno dei film minori del regista romano. Scomparsa per un lungo periodo dai palinsesti televisivi e arrivata nell'home video nostrano soltanto nel 2012, a causa di controversie riguardanti i diritti, la pellicola merita sicuramente una riscoperta per conoscere a fondo i primi passi dell'autore, allora ben lontano dalla funesta crisi artistica del nuovo millennio.
Un coltello nella notte
Roberto Tobias, batterista di un gruppo rock, viene pedinato da oltre una settimana da un individuo sconosciuto. Una sera decide ribaltare i ruoli e di inseguire l'inseguitore per scoprirne l'identità, ma durante una collutazione all'interno di un teatro abbandonato finisce per ucciderlo accidentalmente. L'omicidio viene fotografato da una persona con indosso una maschera che, da quel giorno, comincia a ricattare e perseguitare Roberto, che non può andare alla polizia per il timore di una condanna. La vita del musicista diventa così un inferno, e anche il rapporto con l'amata moglie Nina si sgretola ogni giorno che passa; il musicista allora decide di passare al contrattacco chiedendo l'aiuto dello stravagante amico Diomede (chiamato Dio) che vive in una baracca sulle rive del fiume. Proprio su consiglio di quest'ultimo Roberto assume un investigatore privato che durante le indagini scopre un'insospettabile verità...
Il ricatto
Thriller puro, narrativamente imperfetto e affascinante al contempo, che scatena prepotentemente un'istintiva tensione nelle diverse sequenze che precedono un omicidio, marchiate a fuoco dal classico stile argentiano. Sequenze come quella dell'inseguimento nel parco, con sparizioni improvvise e un repentino cambio giorno/luce - notte/oscurità, pur lamentando reazioni non sempre logiche, sono baciate da un impatto visivo ed emotivo che non lascia indifferenti, pur senza cedere alle logiche della cruda violenza. Ma Quattro mosche di velluto grigio è ricco di sequenze da ricordare, tra cui il dittico nei minuti finali nel quale il regista ha fatto uso di avveneristici modelli di telecamere in grado di girare ad elevatissimi numeri di fps al secondo. La cura dei personaggi, anche in questo caso come altrove di natura autobiografica, rende il protagonista una vittima inerme, e anche un po' stupida, delle angherie del villain, mentre il corredo di personaggi secondari vira verso un tono pittoresco, a cominciare dall'investigatore privato omosessuale sino ad arrivare alla strana coppia formata da Bud Spencer (una sorta di rozzo saggio del fiume) e Oreste Lionello, che donano alla narrazioni sprazzi da commedia. Argento sfrutta ancora una volta a proprio favore la duttilità dei luoghi e della situazioni, creando sequenze originali che vanno in parte a compensare le nette, e volute, forzature in fase di sceneggiatura.
In una strenua lotta, vinta, con la credibilità degli eventi, Dario Argento conclude degnamente la sua trilogia degli animali. Quattro mosche di velluto grigio compensa le scorciatoie narrative con una messa in scena istintiva e ricca di scene memorabili, in grado di aumentare notevolmente i battiti cardiaci. Thriller all'italiana della miglior specie, il film non disdegna anche passaggi più leggeri e ci conduce ad un colpo di scena finale inaspettato al quale il forzato percorso non toglie un minimo di fascino.