Recensione Quarantena

Un remake da confinare in quarantena.

Recensione Quarantena
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A volte un'idea semplice, se ben confezionata, può risultare vincente.
Questo è il caso di REC film spagnolo del 2007, pellicola dalla trama lineare e senza troppe pretese, ma che tuttavia ha stupito molti. Il suo convincente metodo compositivo e la passione trasmessa dagli attori, hanno catturato l'interesse di numerosi critici. Il film ha fatto incetta di premi in Spagna, riuscendo a farsi notare perfino oltre oceano.
È raro che un film horror (soprattuto di nuova concezione) possa anche essere valente e intuitivo, oltre che angoscioso, e i pochi esponenti di questo genere che hanno dimostrato queste qualità sono entrati nella storia.
Opere come "The Blair Witch Project" o "Cloverfield", sono riusciti nell'intento di dare "una "scossa" ad un genere cinematografico che sembra essere in declino dopo gli anni ottanta, nonostante possano essere ricondotti alle più intramontabili tematiche horror/sci-fi.
Hollywood si è resa conto che, prima o poi, dovrà abbandonare la serie "Saw" (ormai al suo 5° episodio, senza contare gli emuli) e dei vari torture porn, e, infatti, si sta premunendo con decine di remake andando a pescare in tutto il mondo.
Se all'inizio questa moda di "rigirare" pellicole era cominciata con un forte sguardo all'Oriente (basti pensare a "The Ring", "The Grudge", "The Eye" etc) successivamente si è evoluta attraverso la stessa America degli anni Ottanta con "Texas Chainsaw Massacre" "Halloween" e, infine, con "Friday The 13th".
Ora, in mancanza di buone idee, le major si buttano sul cinema spagnolo e prendono di mira "REC".
Quarantine è un remake Statunitense Shot-for-Shot della pellicola spagnola, e come tutti i rifacimenti di film horror (fatta eccezzione per alcuni, ad esempio "The Thing" di Carpenter) è un lavoro inutile, almeno oer quanto riguarda la valenza artistica dello stesso.
L'idea, la stessa intenzione di rigirare inquadratura per inquadratura una pellicola (in particolar modo una valente e di successo) è quantomeno discutibile.
Non c'è salvezza morale per le major, ne il beneficio del dubbio, l'unico motivo è il guadagno.
Chiariamoci, nessuno qui è così sciocco e ingenuo da pensare che i film, di qualsiasi genere e periodo, siano confezionate esclusivamente per l'arte tralasciando i dollari.
Non è così e non lo sarà mai.
Ma passare da un giusto equilibrio al vendersi completamente solo per incassare di rimando è un comportamento da squali che non riserva il minimo rispetto per quello che rappresenta il cinema.

Un Film da Isolare

Angela (Jennifer Carpenter) è l'inviata di una trasmissione televisiva notturna. Sta notte il suo compito è seguire il lavoro di alcuni pompieri nel centro di Los Angeles: come sono organizzati, come agiscono. Senza dimenticare qualche semplice intervista. Assieme al suo cameraman (Steve Harris) seguirà i vigili del fuoco durante una chiamata per dei disordini in un condominio, e lì inizieranno i guai. Nel palazzo alcune persone sembrano colpite da una strana forma di "rabbia", un morbo che si manifesta con forti scariche di aggressività omicida e cannibalismo.
Dopo momenti di panico, la troupe, i vigili e gli inquilini ancora sani si accorgeranno di non poter più uscire dallo stabile, messo in quarantena dalle autorità di Los Angeles. Una lotta per la sopravvivenza, un mistero da risolvere e una ricerca per la libertà si incroceranno tra le quattro mura di questo edificio.
Chi riuscirà a salvarsi?
Quella che sembra una "normale" epidemia forse nasconde qualcosa di più, sarà compito di Angela e del suo Cameraman sbrogliare la matassa cercando di rimanere vivi.

A volte basta premere “Rec”

Tutto ciò che nel film originale sembra una buona idea, permeata da un sapiente tocco di stile, in questa trasposizione è un peso e un impiccio. Ogni inquadratura e ogni trovata che regala allo spettatore un scarica di adrenalina è in realtà il frutto di un'altra mano, una razzia della quale John Erick Dowdle, il regista, si prende il merito.
Se quello che successe nel 1998 per mano di Gus Van Sant (il remake shot for shot di Psycho di Hitchcock) fece storcere il naso agli appassionati, qui dovrebbero disgustarsi. Se il lavoro di Van Sant poteva almeno essere riletto come l'omaggio di un artista al lavoro di un maestro della suspense, quà ci troviamo di fronte all'ennesimo tentativo di calamitare l'attenzione i quegli adolescenti carichi di dollari (o euro nel nostro caso) che continuano a fare incessantemente la fila alle casse dei multisala quando in cartellone c'è l'ennesimo e dozzinale horror pubblicizzato dal martellante battage mediatico di una major (con 12 milioni di dollari di budget e un incasso domestico di 33, il film può essere considerato un successo).
La scelta di non inserire colonna sonora e di girare il film come se fosse in presa diretta con camera a mano è un idea non nuova, ma efficace e adatta. La finta "survivor cam" sottolinea ulteriormente la difficoltà e l'assoluta futilità di realizzare un remake di un film del genere tuttavia poiché questa tecnica risulta meno credibile nel rifacimento piuttosto che nell'originale. Le inquadrature hanno il sentore di costruito e il sapore di "predestinato", e la sospensione dell'incredulità viene sostanzialmente meno poichè il tocco dell'artificio narrativo risulta marcato. La costruzione della scena e, più in particolare, dell'inquadratura è ovviamente ideata per invogliare lo spettatore quel tanto che basta a porsi delle domande. Costruzione che in REC, forse per il basso budget, forse per l'abilità del regista Balaguerò a camminare nei terrotori oscuri dell'orrorifico, convinceva maggiormente chi guardava, riuscendo, oltre che a catturare l'interesse, anche a simulare una realtà che in "Quarantine" risulta a tratti patinata.
Una scelta "saggia" è stata quella di coinvolgere attori poco conosciuti per interpretare i protagonisti: la scelta di un nome famoso, oltre al portare spese superflue per un film tanto "incomprensibile" in termini visivi, avrebbe minato ancor più la già scarsa credibilità del tutto.
Senza contare che poche "star" forse avrebbero acconsentito a non farsi mai riprendere con chiarezza per tutto un film.
Un altro grosso punto a sfavore per la pellicola "Born in The U.S.A." riguarda la fotografia: la dove nel primo sfruttava l'illuminazione naturale per apparire credibile pur mantenendo forti emozioni monocromatiche di scena in scena, nel secondo notiamo solo cambi di luce intermittente, asettici e per niente coinvolgenti.
La dove REC, pur senza essere particolarmente originale a livello di trama, riusciva a colpire lo spettatore con una regia capace d'annullare la distanza fra schermo e platea, in questo remake statunitense tutto puzza di finto e costruito. Togliendo la qualità maggiore della storia, il tutto può solo risolversi in un buco nell'acqua.

Quarantena Quarantine è un remake strettamente commerciale senza ragion d'essere. Non cita una pellicola, ma ne copia un'altra senza pudore e per giunta male levando tutto quello che di buono albergava nell'originale. Questa “riedizione” risulta superficiale e approssimativa, senza carattere o emotività. E così, dopo essere appena passati attraverso lo scempio di un classico della fantascienza anni '50 (Ultimatum alla terra), ora ci tocca anche sorbire la distruzione in real time di un ottimo horror spagnolo.

3

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