Quando Dio Imparò a Scrivere Recensione: un thriller Netflix spiazzante

La pellicola Netflix diretta da Oriol Paulo è un thriller pieno di sorprese, ma gli eccessivi cliché spengono il coinvolgimento emotivo.

Quando Dio Imparò a Scrivere Recensione: un thriller Netflix spiazzante
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Non di sole commedie si vive l'esperienza cinematografica dicembrina del salotto, visto l'inaspettato dominatore della classifica dei film più visti su Netflix. Ancor più gettonato dei titoli natalizi (l'ultimo dei quali ve l'abbiamo raccontato con la recensione di Il Diario Segreto di Noel) e della favola dark di Guillermo del Toro (recuperate la recensione di Pinocchio per zittire il vostro grillo parlante), nel catalogo Netflix di Dicembre 2022 spicca l'ispanico Quando Dio Imparò a Scrivere, la peculiare detective story ambientata in un ospedale psichiatrico negli anni Ottanta.

La pellicola - basata sull'omonimo romanzo di Torcuato Luca de Tena - arriva in streaming dopo aver incantato al Festival del Cinema di San Sebastiàn lo scorso settembre, guadagnando molto in fretta il favore del pubblico con la sua trama densa di colpi di scena e ribaltamenti continui. Una grande interpretazione da parte della sua sua attrice protagonista non basta però a spegnere la sensazione di già visto, dato che i numerosi cliché finiscono con l'ammorbidire l'impatto sorprendente di una storia prevedibile nel suo voler stupire ad ogni costo.

Tra malattia e investigazione

Negli ultimi anni le terapie psichiatriche si sono evolute con costanza, contribuendo a sdoganare quel concetto di squilibrio mentale che fino a poco fa veniva trattato come un tabù dalla popolazione. Negli anni Ottanta si era però soliti spedire persone "instabili" in edifici che le contenessero come detenuti, sottoponendole - a volte contro la loro volontà - a cure aggressive non sempre certificate dalla comunità scientifica.

Tra i pazienti del reparto psichiatrico diretto da Samuel Alvar (Eduard Fernández) arriva l'affascinante Alice Gould (Bárbara Lennie), una donna all'apparenza calma e ragionevole, ma che si porta dietro la diagnosi di paranoia. Il dottore che l'ha spedita in questo manicomio ha avvisato con una lettera i suoi colleghi, descrivendo Alice come una persona intelligente e manipolatrice, perfettamente in grado di trarre in inganno gli interlocutori con la sua lingua tagliente ed un'inusuale propensione alla menzogna.

La paziente è tenuta sotto vigilanza perché ha tentato di avvelenare suo marito, ma lei afferma che quella è soltanto una bugia, perché in realtà la prigionia nell'ospedale psichiatrico fa parte di un grande piano atto ad impossessarsi del suo conto in banca. Appena arrivata nella sua stanza, Alice comincia ad investigare su un misterioso caso di suicidio avvenuto nella struttura qualche anno prima, mentre la morte di un altro paziente attrae le attenzioni di medici e poliziotti che non si capacitano dell'accaduto.

Continui ribaltamenti

La detective story che guida la protagonista metterà al centro della discussione il concetto stesso di sanità mentale, imbastendo un racconto corale insieme agli altri pazienti e scandagliando così la psicologia di persone fragili, molto spesso scottate da un trauma che non possono dimenticare.

Le indagini non getteranno luce semplicemente sull'intelligenza di Alice, la quale si dimostrerà ben presto più di una semplice donna paranoica, ma anche le sofferenze di persone dimenticate dalla propria famiglia: la rappresentazione delle patologie psichiatriche in questa pellicola non si differenzia dai canoni a cui il cinema di genere ci ha già abituato - mutismo selettivo, compulsioni ed apparente sagacia che maschera l'instabilità - impedendo così al film di elevarsi tematicamente rispetto ad altre opere simili, ma è nel ritmo della trama e nei continui stravolgimenti che Quando Dio Imparò a Scrivere riesce ad ammaliare lo spettatore costringendolo a soprassedere sugli eccessi di cliché.

Lungo gli inquietanti corridoi di questo manicomio, tra le classiche folli risatine dei pazienti e la rabbia malcelata delle infermiere, si sviluppa infatti un intreccio che punta a stupire capovolgendo a più riprese l'ottica del racconto. Passando dalla condizione mentale di Alice al caso di suicidio, e da questo alla morte di un altro malato, si finisce col mettere in discussione ogni singolo aspetto della storia, coinvolti dall'attenzione ai particolari di una detective il cui sguardo è ripreso da una regia incline ai dettagli ed alle inquadrature dei volti.

Qualche cliché di troppo

Forte di una scrittura che si piega alla verbosità per non perdere il filo degli eventi, la pellicola diretta da Oriol Paulo gode di un'interpretazione molto convincente da parte della sua attrice protagonista: Bárbara Lennie porta in scena una paziente a dir poco particolare, all'apparenza impossibile da sorprendere perché dotata di un fine intelletto, ma capace di trasmettere anche affetto, preoccupazione e terrore nel corso del film.

Nonostante i personaggi dialoghino con fare pomposo, riempiendosi anche la bocca di teorie freudiane, l'approccio alla narrazione rimane però leggero e poco intricato, evitando così di appesantire la lunga visione che sfora i 150 minuti (non esattamente un minutaggio da film "mordi e fuggi"). L'intera struttura si regge sull'effetto scioccante delle continue rivelazioni, le quali finiscono - come era preventivabile visto il numero elevato - con l'ammorbidirsi a causa degli stessi ribaltamenti che si susseguono senza sosta, fino alle ultimissime scene della pellicola. Più che catturare, l'opera finisce così con il lasciare lo spettatore, il quale impara a diffidare di ogni scoperta finché non scorrono i titoli di coda.

Rischia inoltre di indispettire il pubblico più smaliziato la superficialità con la quale vengono inseriti forzatamente tutti i leitmotiv più abusati dal genere: dalla psicanalisi spicciola al solito drasticissimo elettroshock, passando per sequenze oniriche e scambi di identità più che telefonati, la pellicola annega lentamente in un mare di classicismi che spegne il buon abbrivio del racconto. Sulla stessa falsariga si inserisce una colonna sonora pedissequa che dona al film un certo fascino da thriller anni '60, mentre la fotografia calda ed al naturale illumina scenari già risaputi senza brillare per originalità.

Quando Dio Imparò a Scrivere La sorprendente detective story imbastita in un manicomio degli anni Ottanta punta l'intera carica emotiva sui continui ribaltamenti di una trama che vuole scioccare lo spettatore: Quando Dio Imparò a Scrivere è una pellicola leggera nonostante il suo colossale minutaggio, che mette a frutto praticamente ogni singolo cliché del proprio genere di appartenenza per tentare di accalappiare il pubblico, guidandolo in una trama dove ogni persona ha qualcosa da nascondere e nulla è davvero ciò che sembra. Gli eccessivi colpi di scena - che si susseguono fino alle ultimissime scene del film - finiscono con il perdere mordente nel corso della visione, ma un'ottima attrice protagonista colma le lacune drammatiche ed emotive della scrittura con un'interpretazione sentita che la fa spiccare su tutto il resto.

6.5

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