Recensione Putiferio va alla guerra

Una formichina si erge in difesa della pace nel capolavoro restaurato della Gamma Film

Recensione Putiferio va alla guerra
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L'Estate, oltre ad altre apprezzabilissime qualità, è la stagione del cinema all'aperto. Nel parco cittadino o nella piazza parrocchiale si proiettano per la gioia di cinefili e zanzare le più svariate pellicole: da un bidimensionale Avatar al dissacrante Genitori e figli di Veronesi, ma anche glorie indiscusse del cinema peninsulare. Via la polvere dalle 35 mm, fatti più in là multisala divoraquattrini, la magia del cinema risiede ancora una volta tra un proiettore e uno schermo bianco.
Capitano a volte in queste rassegne estive occasioni uniche, chicche rivolte proprio verso l'intenditore: capolavori inaspettati, incastrati tra le pieghe del tempo. Putiferio va alla Guerra rientra di diritto in quest'ultima audace schiera. Da un paio d'anni l'unica copia di tale film datato 1968 circola per cinema più o meno importanti della Lombardia: concessa alla Cineteca di Milano dal regista Roberto Gavioli (scomparso nel Maggio 2007), essa è stata minuziosamente restaurata e promossa fuori concorso alla sessantaquattresima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
Putiferio va alla guerra è senza se e senza ma una gemma del cinema d'animazione italiano, un progetto coraggioso portato avanti da uno studio altrettanto caparbio. Ne abbiamo saggiato il suo spirito e la eccellente qualità proprio nel restauro di qui sopra all'interno di una proiezione pubblica organizzata dall'Assessorato alla Cultura del comune di Castellanza, provincia di Varese, lo scorso 13 Luglio. Non prima di esserci muniti di spray antizanzare e ventaglio improvvisato piegando con cura il dépliant.

Miracolo a Milano

L'assessore alla cultura di Castellanza, Fabrizio Giachi, conserva un nitido ricordo di tale pellicola: apprezzata da piccolo, rimembrata una ventina d'anni fa allo sguardo dell'ormai introvabile VHS. Non esita a chiamarlo capolavoro, non esita a definire prodi eroi i fratelli Gavioli che hanno fortemente voluto il film. Eppure il destino è stato beffardo con questa produzione della cinematografia italiana, abbandonando la pellicola a un polveroso scaffale e il nome della Gamma Film al ricordo di boriosi nostalgici.
Su questo studio d'animazione si potrebbe e dovrebbe parlare molto, perchè per tutti gli anni Sessanta fu il più grande d'Europa. Fondato da Gino e Roberto Gavioli nel 1953 nella zona agricola di Cologno Monzese (appena fuori Milano, ospita oggigiorno gli studi televisivi Mediaset), finì per assoldare tra i 150 e i 200 dipendenti, coinvolti in un numero molto ampio di produzioni: spot pubblicitari, Caroselli, sigle televisive (loro quelle di Canzonissima e della Domenica Sportiva), sequenze d'apertura di innumerevoli Spaghetti Western. E per finire lungometraggi: il primo fu La Lunga Calza Verde, realizzato per il Centenario dell'Unità d'Italia su sceneggiatura di Cesare Zavattini, seguito da Comitato italiano del Cotone sulla lavorazione dei filati in Italia (1965), vincitore della Palma d'Oro a Cannes per il settore pubblicitario e nel 1967 La Ballata del West (più o meno contemporaneo al West and Soda di Bruno Bozzetto).
Due anni più tardi ecco arrivare l'azzardo finale, summa delle esperienze precedenti, con Putiferio va alla guerra. Il clima è notevolmente cambiato: come per Taiyo no Oji - Hols no daiboken di Isao Takahata (a dimostrazione dell'universalità del codice cinematografico), l'opera diretta da Roberto Gavioli ha in sé una venatura pacifista, totalmente contraria ad ogni sforzo bellico a maggior ragione il sanguinoso conflitto vietnamita. Un misto di buoni sentimenti e satira politica decisamente ben accolto dalla casa produttrice Rizzoli Film, all'apice del successo con la saga di Don Camillo.A pagina 2 la recensione di Putiferio va alla guerra (1968) di Roberto Gavioli

Una mano femminileAlla proiezione è andato in scena un delizioso fuori programma. Tra il pubblico era seduta un'arzilla signora, Adriana Lavoratornuovo, che ebbe modo di partecipare alla lavorazione dei disegni in Putiferio va alla guerra. Per lei fu una attestazione del "genio ed entusiasmo" dei fratelli Gavioli, ma l'intero studio andava orgoglioso del risultato finale: ogni cosa era "adeguata alla manualità di chi disegnava, colorava e faceva le scenografie". Un laboratorio artigianale pervaso da spirito e bonarietà: in simili condizioni è normale che si producano ottimi film.

Una guerra al passo coi tempi

"Gli storici la hanno definita come la più piccola guerra del mondo", ma nonostante le ridotte dimensioni dei soldati in campo, non si può certo dire che sia stata priva di importanza. Essa ha riscritto per sempre la convivenza tra gli abitanti di Valle Serena, la cui fauna passa tranquillamente da una civetta galeotta (narratrice del film ai suoi nipotini, ognuno proveniente da una nazione differente: la fiaba come linguaggio universale e di fratellanza) a una falena che tra ritocchi estetici e parrucche s'atteggia come Mina. E poi loro, le protagoniste della nostra storia, le formiche rosse (chiamate sinteticamente e sbrigativamente formichi) e le gialle (formiche in senso stretto). Definire le prime spartane e le seconde ateniesi rende perfettamente la contrapposizione: l'una fazione dimora all'interno di un elmetto nazista, istruisce i giovani all'ordine e alla disciplina, ritenendo l'educazione militare l'unica praticabile e realmente efficace; l'altra, invece, si compone perlopiù di donne premurose, casalinghe integerrime, perfetta trasposizione invertebrata dell' "angelo del focolare" fascista e, in minor parte, democristiano.
A scombussolare il calore materno di quest'ultime ci pensa la formichina Putiferio (nome non casuale) la cui negligenza ai lavori domestici è proporzionale alla stranezza delle sue idee (anziché accudire i piccoli si mette sdraiata sul letto a sfogliare il fumetto "Gatman"). Amore, non violenza, pace: sessantottina convinta in un universo parallelo che pare infischiarsene della contestazione essendo ancora calato nel terrore da guerra mondiale, Putiferio non si discosta dalle ragazze in minigonna che sfilavano per le grandi città, dalla Marylin Monroe che insidiava il cuore del presidente Kennedy, alla Cat, diminutivo di Caterpillar, del romanzo Don Camillo e i giovani d'oggi di Guareschi. Gavioli, però, si ispira maggiormente a Rita Pavone (voce della protagonista), in quegli anni all'apice della popolarità dopo Il giornalino di Gian Burrasca, per delineare lo spirito della protagonista: capelli corti, larga fascia a definire il ciuffo sbarazzino, incarna tutti i clichè della donna hippy, alienata dalla società, contestatrice per vocazione.
Così quando il generale delle formiche rosse Von Mick avvia una incursione nel territorio nemico per rapire le formiche gialle, le uniche in grado di svezzare i loro pargoli, Putiferio si dimostra sin da subito incapace di accettare passivamente il sopruso e tenta la fuga, scappando alle imbranate pattuglie del temutissimo soldato. L'ingresso in campo di una nuova fazione al fianco della protagonista sconquassa lo status quo diplomatico, lasciando intravedere nell'imminente scontro campale un disastro di nucleari proporzioni capace di risucchiare in una sola voragine Valle Serena. Alla pace come unica soluzione, Von Mick oppone una difesa a oltranza anche a costo di erigere le loro Termopili: "Vincere è il nostro motto e vinceremo". Parole scottanti, che lasciano il segno: un segno ora di globale decadimento, di fittizia vitalità, ben diverso da quell'entusiasmo suicida di un tardo pomeriggio del Giugno 1940, quando Benito Mussolini dichiarava guerra a Francia e Inghilterra.

Gusto del colore

L'aspetto grafico di Putiferio va alla guerra rende omaggio a un set d'animazione cristallino, portato della decennale esperienza della Gamma Film nei cartoon d'alta qualità. La verve derivata da impossibili movimenti d'arti, scoordinate deambulazioni, smorfie alla Totò, è la stessa che contraddistingueva i Caroselli dello studio milanese, degli indimenticabili Ulisse, Cimabue e Gringo. Certo, con gli animali è tutto più difficile che con gli esseri umani: il piumaggio, le "gambe" dei millepiedi, l'animare dettagliatamente creature microscopiche come le formiche. Al tempo stesso, però, la fantasia scorre copiosa, dal momento che i disegnatori si sono divertiti a inserire nevrosi tipicamente umane e di natura ideologica nell'ameno sostrato di Valle Serena. Lezione tenuta da conto quando Pixar realizzerà il suo secondo lungometraggio, A Bug's Life, e Dreamworks darà alla luce la parabola bellica di Z la Formica.
Colpiscono per creatività e ricchezza visiva i fondali, rigorosamente disegnati a mano. Piccoli affreschi bucolici, compensano l'inarrivabile bellezza con una maldestra prospettiva che in certe occasioni mal si lega con gli elementi in primo piano, oggetti e personaggi interessati dal comparto animativo. Difetto marginale di un'opera che rappresenta un'eccellenza industriale mai assaporata dall'animazione italiana dei decenni successivi, purtroppo costretta a ricami grafici appena sufficienti.
"E' un'opera fantasiosa e sovente poetica, realizzata con gusto del colore e disegni originali": il numero 66 di Segnalazioni Cinematografiche, uscito nel Gennaio 1969, giustamente concorda con la nostra analisi...

La Pero guerraAlla pellicola lavorò anche come freelance il disegnatore e fumettista Carlo Peroni, in arte Perogatt, come spiega sul suo blog: "fui assunto per un certo periodo per realizzare una buona parte del lungometraggio Putiferio va alla guerra (della Gamma Film). Allora ero in contatto con Piffarerio, [...] un dipendente interno della Gamma Film (anche io ero dipendente ma lavoravo a casa) ed era incaricato di seguire i vari animatori e spiegare loro che cosa occorreva fare". Sua ad esempio è l'onirica scena del sogno.

Putiferio va alla guerra Lucciola smarrita della cinematografia italica, soverchiata da produzioni d'oltreoceano ben più magniloquenti per investimenti artistici e pubblicitari, Putiferio va alla guerra può oggi rifiorire nella gloria dei 35 mm, grazie al meticoloso restauro della Cineteca di Milano. Sopraffino lavoro della Gamma Film, negli anni '60 il più grande studio d'animazione del Vecchio Continente, diretto da Roberto Gavioli, perfettamente a suo agio con le penne accuminate della satira politica, in un mondo finalmente libero da odio e guerra. La vicinanza con gli eventi nazionali e internazionali contemporanei alla sua originale uscita (1968) rende tale prodotto d'animazione l'ennesimo preziosissimo documento per comprendere la fase più calda della Guerra Fredda. E mentre i bambini di allora chiedono a gran voce una versione DVd più volte annunciata ma mai rilasciata, coloro che hanno l'occasione di assistere alle proiezioni dell'unica pellicola ancora in circolazione si sentono quantomai orgogliosi di prodigarsi in applausi al cospetto di un progetto talmente coraggioso e d'ampia portata da ridurre in polvere un'industria d'animazione italiana che da troppi anni non se la sente più di rischiare e pensare in grande.

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