Pusher, la recensione del film di debutto di Nicholas Winding Refn

L'esordio cult di Nicholas Winding Refn: la nostra recensione del lungometraggio Pusher.

Pusher, la recensione del film di debutto di Nicholas Winding Refn
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Il successo che lo ha fatto conoscere ad ampie platee di pubblico è arrivato soltanto nel 2011 con Drive, Palma d'oro al Festival di Cannes, ma Nicholas Winding Refn poteva già vantare una carriera di tutto rispetto iniziata nel 1996 con Pusher, primo film di una trilogia proseguita con altri due capitoli, rispettivamente datati 2004  e 2005. Un esordio divenuto subito culto, tanto da avere originato due remake, uno britannico nel 2012 e addirittura una versione "made in Bollywood" nel 2010. I motivi sono ben chiari anche vista l'apparente semplicità della storia, capace però di trasmettere nella sua narrazione un'essenzialità adattabile a diversi contesti geografici. La pellicola racconta infatti le vicende di Frank, uno spacciatore di quartiere, in debito con Milo, uno dei boss della droga. Quando anche l'ultimo affare gli va storto e viene arrestato dalla polizia, Frank vede aumentare la somma da restituire a una cifra ingente, venendo minacciato da Milo e trovandosi nell'arduo compito di recuperare un sacco di soldi in un breve arco di tempo o altrimenti la sua stessa vità sarà in serio pericolo.

Spaccia, prega, ama

[/img]Pur lontano dalla maturità stilistica che ha contribuito all'aumento della sua fama, Pusher vede già al suo interno alcuni tratti distintivi classici del cinema refniano. Personaggi senza speranza, bloccati per volontà e necessità in una realtà cruda e violenta, incapaci di uscire dai ranghi di una vita ai margini, reietti anti-eroi in una società che li rinnega. Violenza, sesso, droga in un girotondo senza fine e senza luce, tra tradimenti inaspettati e amori impossibili (significativo il rapporto che lega Frank alla fidanzata, spogliarellista / escort in un night club), in un vortice di dolore e nichilismo che non lascia scampo. Il regista danese segue sempre i suoi personaggi da vicino, con la macchina da presa in continuo movimento sui volti e le azioni degli interpreti, capace di trasportare realmente lo spettatore nel vivo del racconto, trascinandolo in questo desolato loop di nulla emotivo. Un cinema puro e al contempo grezzo ma non privo di artifizi estetici di sorta (che avrebbero caratterizzato ancor più in futuro la carriera di Refn), che si fa materiale negli improvvisi scatti di ferocia ma non disdegna una componente introspettiva che scandaglia l'animo inquieto dei suoi protagonisti con fulminante lucidità. Tra discoteche e luci al neon, vicoli bui e sgangherati hotel, la settimana vissuta da Frank (divisa appunto per giorni / capitoli) è un viaggio nel degrado di un uomo che, da un momento all'altro, si trova davanti alla possibilità di perdere tutto, inclusa la vita. Un abisso inesorabile che si avvicina sempre di più, ora dopo ora, in una Copenaghen fredda e grigia, specchio ambientale dell'emotività interiore. La stessa colonna sonora, tra rock e psichedelia, si fonde con precisione allo svolgere degli eventi, così come lo sguardo frenetico e inquieto di un perfetto Kim Bodnia (Love is all you need, Il guardiano di notte) e la presenza, in un ruolo secondario ma fondamentale, del sempre ottimo Mads Mikkelsen (I tre moschettieri, Scontro di titani, Il sospetto).

Pusher La corsa contro il tempo di uno spacciatore per ripagare un ingente debito segna nel migliore dei modi l'esordio di Nicholas Windig Refn. Un cult oggetto di due sequel e altrettanti remake che mostra già tutto il talento dell'autore danese in una corsa contro il tempo ricca di violenza e inquietudine, che scava con una certa profondità nell'animo dei personaggi con uno stile grezzo ma già ricco di quegli exploit estetici elemento chiave della carriera del regista di Drive e Bronson.

8

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