Secondo il racconto biblico, la donna è una creatura nata dal corpo dell'uomo. È infatti la costola di Adamo il tassello finale di un processo creativo che vuole Eva direttamente collegata a quella della sua controparte maschile. Una dipendenza continua, reiterata nel tempo e involuta in uno stato di sottomissione secolare. Di primo acchito anche Povere Creature! di Yorgos Lanthimos (tratto dall'omonimo romanzo di Alasdair Gray e vincitore del Leone d'Oro Venezia 2023) potrebbe apparire come ultimo capitolo di un saggio infinito sullo sguardo dell'uomo che non si limita a possedere la donna con la forza della visione, ma la fa sua, sottraendola dalle braccia delle morte e restituendo in lei la vita.
Vicino nelle intenzioni al Dottor Frankenstein di Mary Shelley, il Godwin di Willem Dafoe tradisce addirittura il proprio soprannome, "God", "Dio", per fare di Bella non più creatura sottomessa, figlia della propria ambizione narcisistica di dominatore di e sulla morte, ma esperimento nato in seno a un'indole caritatevole. Dal momento della sua rinascita (compiuta attraverso il trapianto del cervello del feto che portava in grembo dopo essersi gettata da un ponte) Bella è prima bimba, poi adolescente e adulta; un'evoluzione compiuta con fare indipendente, di una conoscenza a se stante di una personalità propria, inedita nata dagli inferi e restituita in uno scenario onirico in cui tutto è meraviglia, paura, scoperta.
Corpi anestetizzati per menti fameliche
Quello tracciato da Lanthimos grazie al corpo e all'anima di una Emma Stone ammaliante è un processo di auto-coscienza in cui tutto è nuovo, precario, restituito visivamente da un bianco e nero a tratti espressionista, e da un grandangolo straniante, che fa della visione uno sguardo distorto, come distorto è il corpo di Bella.
Poca armoniosa nei movimenti, quelli compiuti dalla donna sono piccoli passi incerti di una bambina incapsulata nel corpo di un'adulta. Con Povere Creature! Lanthimos sanziona gli errori dell'uomo moderno nel beato sonno in cui questi persevera. E lo fa tracciando una geografia di personalità in cui si fugge da se stessi per cercare altre possibilità di vita. Una redazione visiva, compiuta con l'inchiostro della cinepresa, inseguendo a debita distanza i propri personaggi, o isolandoli in primi piani distorti, incapaci di cogliere il maelstrom pronto ad abbattersi sulla loro interiorità anestetizzata da dipendenze emotive, o dal desiderio accecante di comprendere il mondo che li circonda per coglierlo, dominare, far proprio. Dopo Dogtooth, La favorita e The Lobster, ritornano in Povere Creature! le pulsioni sessuali tipiche del cinema di Lanthimos, nuovamente raccolte e generate da corpi anestetizzati dalle emozioni, dai sentimenti, perché dominati da menti pensanti e bulimici di conoscenza. Corpi come macchine, mossi da sete di scoperte, e da piccoli barlumi di profondi sentimenti, come quelli che legano Bella a God, e inseriti in un universo volutamente ed eccessivamente fittizi.
La scenografia è un quadro bidimensionale, uno sfondo artefatto di fiabesca natura, memore dei fondali teatrali, o delle scenografie dei film surrealisti. Un decorativismo, quello che raccoglie lo svolgersi di Poor Things, che crea mondi fiabeschi in terre topograficamente riconoscibili (Alessandria, Parigi, Londra) ma esteticamente re-inventati, proprio come reinventati sono il corpo e l'anima di Bella.
Tavolozze di una crescita di rivendicazione personale
I pensieri, le emozioni e i movimenti di Bella sono dunque relegati a uno stadio infantile che non solo permette alla ragazza di colorare il proprio mondo di nuove scoperte, abbandonando l'elementarità del bianco e nero per tonalità accese, cangiante e luminose, ma anche di alimentare di ironia, paradossi, una struttura narrativa capace di far ridere, attaccando di petto il proprio pubblico.
Già, perché dietro quel linguaggio senza filtri censori, e quelle azioni istintive generate da uno stadio infantile destinato ad aprirsi a una razionalità acuta e intelligente, Lanthimos riesce ad attaccare con sottile cinismo il mondo della mascolinità tossica, e di quelle dipendenze affettive che sfociano nelle ossessioni. Grazie a una Emma Stone mimetica e sfaccettata, Lanthimos trova la miccia con cui dar fuoco alla propria arma colpendo in pieno il proprio bersaglio. Non più un'idea perfetta che si fa corpo come in Barbie (vi rimandiamo alla nostra recensione di Barbie), in Povere Creature! la scoperta di sé, dei propri limiti, e delle proprie virtù è un viaggio a tappe dove a ogni acquisizione personale di frammenti di autodeterminazione, corrisponde in maniera proporzionale la frammentazione di quell'avamposto apparentemente inespugnabile del tossico patriarcato.
Svestiti di ipocrisia borghese, i viaggi di Bella sono parti di un grand tour conoscitivi di apertura mentale e fisica. Gli appetiti sessuali della donna sono ponti su un mondo da assaporare, far proprio e dominare nello stesso modo con cui Bella domina il corpo dei propri amanti. Un discorso irresistibile, intelligente, nascosto sotto gli abiti eleganti di un universo distopico, a metà tra il futurismo e l'epoca vittoriana.

Una natura quasi ucronica, da steampunk, raccolta in quadri visivi di maestosa impostazione attraversati da corpi incapaci di fermarsi, perché desiderosi di liberarsi delle proprie ossessioni (il Duncan Wedderburn di Mark Ruffalo), o dei propri flussi istintivi e pulsioni sessuali (la Bella Baxter di Emma Stone). Non è un caso che a farsi fulcro dell'intera opera sia la scena di un ballo in cui Bella mostra il suo lato estroso, fuori dal coro; in un mondo canonizzato, soggetto a regole pre-impostate dall'ipocrisia di una società borghese attenta a non sbagliare e a seguire attentamente i passi segnati da altri, Bella è la rivoluzione di questa danza, una scintilla fuori dal coro che atterrisce con la forza disarmante delle proprie parole e del proprio inconscio umorismo lo schema bigotto della propria società.
Ne consegue un ribaltamento continuo di attese e risposte, azioni e comportamenti; un rovesciamento che porta a indicare le povere creature del titolo nei corpi di uomini imprigionati nella propria fragilità e debolezze e ora fatti vittime di una donna predatrice e non più preda, piuttosto che negli esperimenti usciti dal laboratorio di God.
Corse sull'autostrada dell'onirico surrealismo
È una scoperta del mondo a tappe, Povere Creature!. Una montagna russa di libido e intelligenza lanciata a tutta velocità su una struttura visivamente fiabesca, e narrativamente tanto cinica, quanto irresistibile.
Eppure, come una macchina lanciata a tutta velocità sull'autostrada dell'onirico surrealismo, Lanthimos quell'auto la deve frenare di botto, rallentando il viaggio, dilatando i tempi: la sequenza ambientata a Parigi è uno schiaffo in pieno volto al bigottismo di ieri, oggi e domani, ma il tocco sulla guancia dura troppo. Certo, grazie a essa lo spettatore ha tempo di riprendere fiato e di stiracchiarsi, ma la reiterazione continua di medesime azioni, rischia di distruggere tutto quanto costruito in precedenza. Così fortunatamente non sarà, e il viaggio verrà ripreso a gas aperto, ancora più veloce, ancora più destabilizzante, acuito da un accompagnamento musicale di violini stonati che sottolineano il fastidio interno per situazioni stranianti colmi di tensione e timore.
È una rinascita che dona forza al personaggio di Bella; da vittima e allo stesso tempo complice di cattiveria e violenza, a donna si fa dipendente, autorevole, forte di sé; è una donna che porta il peso del proprio destino e delle proprie azioni sulle spalle, come sottolineano quelle spalline così grandi, esagerate, voluminosi che abbigliano i suoi abiti così d'epoca vittoriana, e così contemporanei.

Quello di Lanthimos non è un esperimento alla Mary Shelley. Nonostante il suo nome tradisca velleità divine, il God di Povere Creature! non osa mai sostituirsi a Dio. Ciò che l'uomo compie sullo schermo - e attraverso di lui lo stesso Lanthimos - è quello di rivendicare la figura femminile, renderla una e trina, figlia, madre e donna. Un discorso femminista in cui l'uomo, quello tossico e brutale, viene meno alla becera retorica, gettandosi tra le braccia della verità destabilizzante, straniante, come stranianti e destabilizzanti sono gli sfondi che si aggrappano ai personaggi, modellandoli, insignendoli di autonomia, indipendenza, vendetta, autocoscienza. Insomma, di vita.