Recensione Piedone a Hong Kong

Riscopriamo insieme il secondo capitolo della saga di Piedone, diretto nuovamente da Steno, che vede impegnato Bud Spencer in una missione in estremo Oriente per sventare un traffico di droga internazionale.

Recensione Piedone a Hong Kong
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Cogliendo al balzo la grande popolarità dei film di Bruce Lee, usciti da poco nel Belpaese, Steno decide nel 1975 di ambientare il secondo capitolo della quadrilogia di Piedone proprio nel paese natale di tali produzioni. Sin dal titolo Piedone a Hong Kong, che cercava di cavalcare l'onda del successo delle pellicole di kung-fu, lo storico regista italiano sceglie di dare un'impronta esotica alla nuova "avventura" del commissario di Bud Spencer, ambientata per l'occasione tra Napoli, Bangkok e appunto l'ex colonia britannica. Una scelta che ha riguardato in piccola parte anche il casting, il quale oltre a caratteristi di contorno che tornano dal film precedenti (come Enzo Cannavale ed Enzo Maggio) annovera in ruoli di supporto anche interpreti orientali, dalla bella Nancy Sit di La freccia che uccide al bambino esordiente (e questa rimarrà la sua unica apparizione su grande schermo) Day Golo. In una trama che ricorda in più passaggi quella del primo episodio, il commissario Rizzo è impegnato nelle indagini su un traffico di droga che ha luogo a Napoli e che fa capo al boss Willy Pastrone. Ma quando il gangster viene ritrovato morto, Rizzo (ingiustamente sospettato dell'omicidio) decide di investigare sul caso con la "collaborazione" di un mafioso italo-americano, giunto da poco in città. Il commissario comprende che vi è una talpa all'interno della polizia e intraprende un viaggio in Oriente (da dove sembra provenire la "merce") per cercare di trovare il traditore e mettere fine all'attività criminosa. Durante il suo soggiorno lavorativo ad Hong Kong dovrà anche prendersi cura di un bambino la cui madre è stata uccisa dai signori della droga...

Hong Kong pugno su pugno

Con un protagonista che, inizialmente osteggiato dai vertici della polizia per i suoi metodi poco ortodossi, riporta alla mente una versione più addolcita ed acqua a sapone (non si usano mai le armi) del contemporaneo Callaghan di Clint Eastwood, Piedone a Hong Kong segue solo in parte le atmosfere del primo capitolo, favorendo la varietà d'ambientazione rispetto alla solidità di una trama che, seppur piacevole da seguire, appare più scontata e forzata che in passato. Laddove quindi la narrazione si fa più sfilacciata, a guadagnarne è senza dubbio il ritmo dei "combattimenti": le classiche risse di spenceriana memoria infatti vengono qui ibridate con versioni edulcorate del kung-fu e della boxe thailandese, praticate dai numerosi avversari che Rizzo si trova ad affrontare nel suo viaggio in Oriente. Una rappresentazione delle arti marziali ironica e simpatica che ben si adatta ai classici cazzotti di Bud, impegnato in questo film anche in una riuscita sequenza acquatica che sfrutta il noto passato da nuotatore dell'interprete. Discreta anche l'alchimia dello stesso Bud con il personaggio di Frank Barella, che ha il volto dell'Al Lettieri de Il padrino che sarebbe scomparso soltanto pochi mesi dopo la fine delle riprese per un infarto. A rendere quindi questo secondo tassello della saga inferiore al precedente sono un'ingenuità di fondo a tratti sin troppo marcata anche per il genere e un plot che ricalca in più passaggi quello di Piedone lo sbirro, ma la visione regala comunque buone dosi di divertimento.

Piedone a Hong Kong Con Piedone a Hong Kong le indagini del commissario Rizzo si spostano in Oriente, garantendo una maggiore varietà nelle coreografie e scorci "turistici" d'effetto. La trama risente il peso di una certa debolezza narrativa, appoggiandosi sin troppo su situazioni e risvolti passati, ma la burbera simpatia di Bud Spencer (in quest'occasione con la sua vera voce) mitiga le negligenze e assicura il piacere della visione.

6.5

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