Recensione Piccola Patria

Due ragazze, un’estate calda e soffocante, il desiderio di andare via da un piccolo paese di provincia...

Recensione Piccola Patria
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Prima, nel 1997, vi fu Il fuoco di Napoli, seguìto due anni dopo da Bibione bye bye one e, nel 2002, da Chiusura.
Poi, tra il 2006 e il 2007, fu la volta di Feltrinelli e di Raul, ovvero uno dei capitoli de L’Orchestra di piazza Vittorio: I diari del ritorno; ma la carriera del documentarista padovano classe 1963 Alessandro Rossetto è destinata a proseguire tramite Piccola patria, del quale osserva: “Sarebbero potute accadere in una qualsiasi provincia del pianeta, ma ho cercato nel Nordest italiano le storie che compongono il racconto di Piccola Patria. Lì ho visto fondersi tra loro quelle atmosfere, la lingua, i volti e i personaggi, le dinamiche personali e di gruppo. Il mio approccio al film è stato fisico: partendo da una sceneggiatura pronta ad essere distrutta, ho voluto creare un vortice estivo che legasse improvvisazione e osservazione, ricerca e creazione dei personaggi. Luisa e Renata vogliono andare via da una cultura del lavoro che è solo cercare di far soldi e spesso non riuscirci, via dalla banalità di vite votate al sacrificio e al silenzio, via dalla rabbia che la mancanza di sogni scatena. Il conflitto è tra due mondi, quello degli adolescenti - vivo, sensuale, libero senza sapere di esserlo - e quello degli adulti, inerte, rassegnato, doppio. Eppure qualcosa accomuna tutti: una zona oscura, una memoria che segna la carne delle ragazze e che resta non detta. Il sesso che l’una usa per prendersi gioco del mondo, per sfuggire senza meta alle falsità del conformismo, è per l’altra il modo cieco per riscattarsi dalla meschinità e dalla violenza, il pretesto per vendicarsi. Il gioco amoroso, amicale e sessuale assume col tempo i contorni tragici di una realtà che perde per sempre spontaneità e innocenza”.

Due donne e un... Rossetto

Una storia incentrata su due ragazze, un’estate calda e soffocante ed il desiderio di andare via da un piccolo paese di provincia.
Una storia che, pur rappresentando il primo lungometraggio di finzione a firma di Rossetto, sembra manifestare un approccio documentaristico nell’inscenare la vita della disinibita e trasgressiva Luisa (Maria Roveran), piena di vita, e quella di Renata (Roberta Da Soller), oscura, arrabbiata e bisognosa d’amore.
Non a caso, è tramite abbondanza di riprese eseguite a mano che seguiamo quella che, in fin dei conti, è una vicenda di ricatto, di amore tradito e di violenza subita; in quanto Luisa usa Bilal (Vladimir Doda), il suo fidanzato albanese, e Renata sfrutta il corpo della donna per muovere i fili della propria vendetta.
Mentre entrambe intendono lasciare la piccola comunità che le ha cresciute, tra feste di paese e raduni indipendentisti, famiglie sfinite e nuove generazioni di migranti presi di mira da chi si sente sempre minacciato.
Perché, tra rischio di morte e squallore non poco presente, è senza dubbio il razzismo uno degli elementi cardine dell’operazione, sguazzante tra italiano, albanese e dialetto veneto, man mano che il tutto viene assemblato dal veloce montaggio di JacopoIo e teQuadri.
Con la risultante di un non disprezzabile ed altamente realistico elaborato che, in un certo senso non distante dai lavori sfornati dal Collettivo Amanda Flor (citiamo soltanto Ad ogni costo di Davide Alfonsi e Denis Malagnino), soffre soltanto di eccessiva lunghezza (siamo oltre l’ora e cinquanta di durata).

Piccola Patria Sceneggiato da Caterina Serra (Napoli piazza Municipio) e Maurizio Braucci (Gomorra) insieme allo stesso regista, si tratta del primo lungometraggio di finzione diretto dal documentarista padovano Alessandro Rossetto. Lungometraggio di finzione immerso in una squallida realtà sociale odierna che, però, sembra voler mantenere, comunque, lo stile realistico dei documentari. Scelta tutt’altro che sbagliata, considerando la tipologia di vicenda raccontata, che avrebbe necessitato soltanto di essere portata sullo schermo tramite un più breve minutaggio.

6

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