Recensione Philomena

Judi Dench nel nuovo, delicato e divertente capolavoro di Stephen Frears

Recensione Philomena
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Dopo un silenzio durato cinquant'anni, un'anziana ma arzilla infermiera in pensione decide di rivelare alla figlia il suo più grande segreto: mezzo secolo prima aveva dato alla luce un bambino, Anthony, che la sua condizione di internata in un convento non le ha permesso di tenere. Dato in adozione, del bimbo si sono perse le tracce, ma Philomena non ha mai smesso di sperare di rivederlo, un giorno, o quantomeno di assicurarsi a proposito delle sue condizioni. La figlia della donna, Kathleen, entra fortuitamente in contatto con Martin Sixsmith, noto giornalista e saggista in cerca di nuova occupazione dopo la burrascosa fine del suo rapporto di lavoro come ufficio stampa del governo inglese, e l'uomo -inizialmente titubante- inizia ad appassionarsi alla storia di Philomena, promettendo di aiutarla nella ricerca in cambio dell'esclusiva sulla storia...
È la nascita di un'amicizia, la scoperta di un fatto eclatante e un'occasione, per tutti, di crescere e di confrontarsi coi fantasmi del passato, per cercare di comprenderlo e trarne frutto.

50 anni di dubbi

Dopo il documentario sulla leggenda del ring Muhammad Ali e il mezzo passo falso di Una ragazza a Las Vegas (uscito nel nostro paese, con molto ritardo, solo un paio di mesi fa) il regista di The Queen e Le relazioni pericolose torna al grande cinema raccontando una storia vera, quella raccolta nel libro The Lost Child of Philomena Lee dello stesso Sixsmith che, nel film, è interpretato da Steve Coogan, il quale si è occupato anche della sceneggiatura. Ne risulta una commedia drammatica di raro bilanciamento, scritta magnificamente e altrettanto bene interpretata, tra un Coogan misurato ma fondamentale e un'adorabile Judi Dench.
I personaggi sono tratteggiati magnificamente, in maniera estremamente cinematografica ma senza perdere di vista l'aderenza alla vicenda e alle persone reali coinvolte nella stessa. Tutto il film è costellato di momenti umoristici non solo funzionanti, ma anche funzionali alla storia e non semplicemente accessori, permettendo un'alternanza di registri narrativi molto convincente e una rappresentazione dei due protagonisti al contempo accattivante e fortemente descrittiva. Il cuore pulsante della trama, comunque, rimane la parte drammatica, trattata con molto rispetto ma non risparmiando stilettate in ogni direzione: da un lato al bigottismo cattolico, che ha permesso atrocità come quelle dipinte nella pellicola, dall'altra al razionalismo ateo che pretende di essere per forza di cose superiore, peccando di presunzione. Questo rende onore agli sceneggiatori, dato che sarebbe stato davvero troppo facile ricevere consensi unicamente sparando a zero sugli errori di una frangia della Chiesa, in un periodo di anticlericalismo dilagante: è invece molto interessante la contrapposizione della figura colta e razionale di Martin con la fede bonaria ma incredibilmente umana di Philomena, costantemente dipinta come una persona dai gusti umili e dall'ingenuità disarmante. Come a dire che abbiamo sempre da imparare, non solo da chi è considerato “migliore” di noi, ma anche da coloro che guardiamo dall'alto in basso, ma che probabilmente possono colmare alcuni nostri vuoti. Anche se la tematica religiosa, per quanto importante, non è il leitmotiv dell'opera, che rimane ancorata al valore umano della vita, della famiglia e delle origini, nonostante tutto quello che può succedere nell'arco della nostra esistenza.

Philomena Accompagnati dalle inconfondibili note di Alexandre Desplat, ci addentriamo grazie a Stephen Frears in un'avventura alla ricerca di un figlio perso -per ignoranza e per destino- mezzo secolo prima. Interpretazioni magistrali e un perfetto connubio tra il registro leggero della commedia e i toni alti del dramma, con alcune riflessioni sulla fede e sulle sue istituzioni di grande intelligenza. Da vedere assolutamente.

8.5

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