Peter Von Kant Recensione: una raffinata commedia cinefila

Francois Ozon rivisita il cult anni '70 di Rainer Werner Fassbinder in un film ambientato in un unico luogo, dando campo libero a un cast magnifico.

Peter Von Kant Recensione: una raffinata commedia cinefila
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Ogni cinefilo che si rispetti avrà visto, o almeno sentito nominare in più occasioni, un grande classico del regista tedesco Rainer Werner Fassbinder, ovvero Le lacrime amare di Petra von Kant (1972), nato come opera teatrale e poi trasposto sul grande schermo. Per chi volesse saperne di più sul cinema dell'autore, vi consigliamo di recuperare la nostra recensione di Il mondo sul filo (1973). Peter von Kant, come si può facilmente intuire fin dal titolo, è una sorta di spiccato omaggio all'originale, che vanta la firma di un altro cineasta assai apprezzato dal pubblico d'essai, ovvero quel Francois Ozon adesso nelle sale italiane con ben due pellicole: oltre a questa è infatti uscito recentemente la divertente commedia gialla Mon Crime - La colpevole sono io (2023).

Ozon non è per altro nuovo nel rivisitare opere di Fassbinder e già a inizio carriera aveva adattato in forma cinematografica la pièce teatrale Tropfen auf heisse Steine con Gocce d'acqua su pietre roventi (2000), vincitore al Festival di Berlino del Teddy Award al miglior lungometraggio con tematiche LGBT. Ozon condivide infatti con il compianto Fassbinder quell'omosessualità apertamente dichiarata, che risalta anche nel cuore della vicenda che vi esporremo a breve.

Peter von Kant: cuore d'artista

Il protagonista infatti, tale Peter von Kant, è un burbero omone gay, tra i più apprezzati registi del suo tempo, gli anni Settanta. Peter vive a Colonia in una casa unifamiliare in compagnia del suo fido assistente Karl, totalmente devoto a lui e più volte sfruttato come fosse uno schiavo. Un giorno Peter, dopo aver inviato una lettera all'attrice Romy Schneider per chiederle di essere la star del suo prossimo progetto, riceve la visita di Sidonie, una sua ex fiamma che proprio grazie a lui è riuscita a sfondare nel mondo del cinema tanto da essere tra le più ricercate a Hollywood.

La donna si presenta in compagnia del giovane Amir, un collega di origini nordafricane che ha conosciuto durante un viaggio. Peter si innamora perdutamente del ragazzo e decide di offrirgli un ruolo chiave nel nuovo film, tanto da riscrivere il copione appositamente per lui. Nonostante Amir sia sposato, i due diventano amanti ma Peter comincia a essere sempre più ossessionato dal suo protetto e la gelosia rischia di compromettere inesorabilmente la loro relazione.

Dentro lo spazio

Un film da camera, ambientato in un unico luogo ovvero l'appartamento del protagonista. Una casa sui generis, dove hanno luogo le dinamiche tra questi e le persone che lo circondano: dall'amante alla vip del cinema, dalla figlia alla madre, con la presenza costante del silente assistente pronto a prendersi infine la sua rivincita nella sfuriata finale.

Un'ora e venti di visione che scorre placida e irrequieta al contempo, frutto dei vezzi e dei sussulti di quella figura ingombrante e narcisista, regista eclettico e uomo fragile che nasconde le proprie debolezze dietro a una facciata indecifrabile, spesso rabbiosa quando non crudele con chi si trova davanti: una crudeltà figlia di un dolore privato e personale, che scava nei recessi di una gelosia irrefrenabile e nei postumi di un passato solcato da tragedie e rinunce.

Una figura che è una sorta di corrispettivo femminile della succitata Petra, al centro dell'opera originaria, e che può contare qui sull'imponente fisicità di Denis Ménochet - se non lo conoscete ancora, leggetevi la nostra recensione di As Bestas - La terra della discordia (2022), dove offre una performance indimenticabile - che si muove sul set in compagnia di un cast altrettanto talentuoso, che vanta in altri ruoli chiave la partecipazione di attrici del calibro di Isabelle Adjani e Hanna Schygulla, quest'ultima già nel prototipo degli anni Settanta.

Ironia, amarezza e citazioni in una rivisitazione che mette ancora una volta in mostra la raffinata eleganza di Ozon, grande costruttore di immagini e palcoscenici cinematografici, capace ancora una volta di sfruttare la claustrofobia di spazi chiusi e limitati con lucida attenzione alle psicologie e ai tormenti dei suoi personaggi.

Peter Von Kant Un burbero regista dichiaratamente omosessuale si infatua di un giovane attore e viene lentamente consumato dalla gelosia, mentre riceve visite di amici e familiari in quella casa che fa teatro allo scorrere del tempo. Francois Ozon rivisita il cult di Fassbinder, ossia Le lacrime amare di Petra von Kant (1972), con uno gender-swap affidato all'imponente fisicità di Denis Ménochet, magnifico in un cast impreziosito da figure femminili di primo piano. Peter von Kant è ambientato in un unico luogo, dove il tempo passa inesorabile sulle macerie emotive di uomo che perde progressivamente il senno, per via di un'ossessione dalla quale non sembra esserci via d'uscita: una commedia esistenziale amara e raffinata, piacevolmente elitaria nel suo rivolgersi a un pubblico consapevolmente cinefilo.

7.5

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