Recensione Perdona e Dimentica

Todd Solondz torna a parlare di vite in perenne guerra, intima e reale.

Recensione Perdona e Dimentica
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A dieci anni di distanza da Happiness, il suo film più acclamato, Todd Solondz torna a parlare della famiglia Jordan, riprendendo in mano le fila di quel doloroso discorso di vite interrotte iniziato tempo fa. Capace di circuire lo spettatore grazie ad arabeschi intimi e scenici di una precisione geometrica, Solondz elabora dunque la nuova fase della sua famiglia ebrea allo sbaraglio, dilaniata da una guerra interiore cui fa da sfondo una guerra reale, quella in Iraq. Guerra - in senso lato - che oltre a essere il fil rouge di tutto il film (il titolo originale Life during wartime ovvero la vita ai tempi della guerra, fa riferimento a una battuta del film "Io ho fatto un errore grande come quello della guerra del Vietnam"), rappresenta anche la condizione psicologica di ciascun protagonista, perennemente in conflitto con il proprio io nonché avvolto da una profonda solitudine. "Il perdono è l'ornamento dei forti", diceva Mahatma Gandhi. Ed è proprio sul concetto di perdono che Solondz costruisce la sua conturbante commedia, ponendo lo spettatore di fronte a un amletico quid: è meglio perdonare, pur ricordando, o dimenticare, pur senza aver perdonato?

C’è ancora aria di guerra in casa Jordan

Sono passati dieci anni da quando una tempesta emotiva ha smembrato la famiglia Jordan, e i suoi componenti sono ancora alle prese con un equilibrio difficile da ricostituire. L'etera Joy (la Shirley Henderson che in Harry Potter veste i panni di Mirtilla Malcontenta), la cui gioia del nome è in perenne conflitto con la sua inesauribile tristezza, è più che mai afflitta dalle psicosi del marito Allen: sessuomane, cocainomane e irrimediabilmente dedito a ogni tipo di vizio patologico. In fuga da questo secondo compagno (il primo si è suicidato e ora è un fantasma che la perseguita), Joy cercherà rifugio e consiglio nella sua famiglia. Ma anche lì la stabilità sembra una rara avis. La sorella Trish (Allison Janney di Juno), con i due figli Tim e Billy, ha cercato di ricostruirsi una vita - puntando tutto sugli psicofarmaci - dopo l'incarcerazione del marito pedofilo (Bill), e ora sembra rinata grazie all'incontro con il ‘normale' Harvey. Ma Bill, che sta uscendo di prigione, continua a essere un fantasma di dolore che incombe su tutta la famiglia. Poi c'è Helen, la terza sorella di casa Jordan, scrittrice di successo che non riesce a stare in pace né con se stessa né con gli altri. In tutto questo viavai di esistenze turbate, il piccolo Tim, figlio minore di Trish, è in procinto di festeggiare il suo Bar mitzvah, visto che sta per compiere i fatidici tredici anni. L'avvento di una presunta età adulta lo pone di fronte agli spinosi interrogativi della vita, dalla pedofilia del padre al terrorismo passando per le fantasie sessuali della madre, ai quali Tim cercherà di dare una risposta con la trasparenza e il candore che solo i bambini possiedono. E se per il bambino i kamikaze che hanno polverizzato le torri gemelle (alle pareti di camera tiene appesi poster di caccia e bombardieri), non possono essere perdonati perché morti, più arduo è fare i conti con il ‘terrorismo' del padre: capace di orrori inerarrabili (tanto che la madre glielo aveva fatto creder morto) ma pur sempre suo padre.

Voglio solo un padre

Controverso, politicamente scorretto, crudele e impietoso, il linguaggio di Solondz è ancora una volta mirato a smantellare ideali e ipocrisie di una famiglia ebrea che ne incarna molte altre. Nei dialoghi vibrano sentimenti come rabbia e stizza nei confronti di politici, istituzioni, società, mentre paure, ossessioni e frustrazioni vengono messe in piazza senza filtri di sorta. Come accadeva in Happiness, del quale questo Perdona e Dimentica più che un sequel è una rielaborazione a distanza di tempo (a confrontarsi con i vecchi personaggi intervengono nuovi attori), anche qui assistiamo alla decostruzione, subdula e spietata, di esistenze allo sbaraglio, vessate dalla sorte, in cui s'insinuano malesseri di ogni tipo. E ancora una volta tutto sembra concorrere allo smantellamento di quella felicità effimera che nel primo film veniva regolarmente messa alla berlina, la distruzione del sogno americano. L'atmosfera che Solondz crea è quella di un girone dell'inferno dai colori vivaci, inserito in una geometria poetica che si scontra con l'oscuro caos emozionale cui fa da sfondo. E l'abilità di Solondz sta nel riuscire a rendere comiche e grottesche delle situazioni decisamente tragiche, esasperandole al contrasto con la innaturale perfezione scenica, sputando fuori verità senza nascondere errori ed orrori: facendo del cinema un palcoscenico di vite che vanno in scena senza artifici. Niente e nessuno sopravvive alla falce impietosa di Solondz e tutto il marcio della società entra naturalmente a far parte del suo affresco: dalle perversioni sessuali al terrorismo, passando per Bush e la religione ebrea. Con l'amaro sarcasmo che lo contraddistingue, Solondz conduce lo spettatore attraverso le ombre della sua (e nostra) verità: controversa e forse difficile da accettare. E tramite Timmy, candido riflesso dei turbamenti che percorrono il film, ci fa sapere che certe volte perdonare è necessario, forse rimuovendo, forse dimenticando, perché tutti noi, in fondo, vogliamo "solo un padre".

Ridere per non piangere

Difficile giudicare in maniera obiettiva un cinema rapsodico e articolato come può essere quello di Solondz, che senza dubbio viene decodificato secondo sensibilità e filtri molto più soggettivi. Nel raffronto con il primo film salta però all'occhio che questa variazione sul tema risulta meno incisiva, forse perché un po' meno asciutta: moltissimi personaggi e questioni solo abbozzati che fanno fatica a dare all'opera una coerenza narrativa solida, come invece succedeva in Happiness. Ciò non si traduce in una minore immediatezza del film ma in una sua minore fruibilità e, se non aver visto Happiness non pregiudica la comprensione di questo non sequel, è pur vero che ci sono tantissimi riferimenti che lo spettatore medio farà fatica ad afferrare e a contestualizzare. Nondimeno il film è una nuova interessante incursione nella psiche umana, uno studio antropologico che ritrova intatto lo stile di Solondz, capace di sondare i recessi più oscuri dell'animo umano con apparente levità. Salace e farsesco il regista ci costringe a ridere per non piangere e a sentirci, volenti o nolenti, parte di quella sua umanità decadente.

Life During Wartime Lucido e spietato come sempre, Todd Solondz riprende a distanza di dieci anni i personaggi (con nuovi volti) che aveva gettato nella disperazione con Happiness. E se in Happiness si cercava una felicità inesistente qui, in Perdona e Dimentica (un non sequel di quel primo film) il regista sonda l'impervio terreno del perdono: possibile o impossibile? Grazie a uno stile molto particolare, estremamente cinico e grottesco, e minuziosamente rifinito dal punto di vista scenografico, Perdona e Dimentica conferma il talento eversivo di Solondz pur uscendo (in parte) sconfitto dal confronto con il suo prologo. Infatti se Happiness era bilanciatissimo in ogni sua parte, Perdona e Dimentica lo è un po' meno, risultando infine un policromatico arazzo un po' più sfilacciato.

7

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