Recensione Paura

L'orrore tridimensionale dei fratelli Manetti

Recensione Paura
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Sia nei siti web che sulla stampa cartacea, se ne parlava già da diverso tempo, pubblicizzato, però, con il titolo "La stanza dell'orco"; il quale, almeno nella testa dell'appassionato di cinema della paura più preparato, non poteva fare a meno di richiamare alla memoria il film televisivo "La casa dell'orco", diretto da Lamberto Bava per il ciclo Brivido giallo e trasmesso dalla mediasetiana Italia uno nell'estate del 1989.
Ovviamente, girato in 3D e ribattezzato Paura, nulla ha a che vedere con quella fiaba nera interpretata anche da una giovane Sabrina Ferilli il lungometraggio che, escludendo il segmento Consegna a domicilio incluso nel collettivo De Generazione e l'inedito cinematografico Cavie, rispettivamente del 1995 e 2009, rappresenta il primo elaborato strettamente horror firmato dai fratelli romani Marco e Antonio Manetti, meglio conosciuti come Manetti Bros.
Già, perché, sebbene il loro primo prodotto di finzione - con Carlo Verdone nel cast e una Micaela Ramazzotti degli esordi protagonista - fu Zora la vampira, del 2000, in quel caso non si poteva parlare di un vero e proprio racconto dell'orrore su celluloide, ma, al massimo, di una commedia in salsa hip hop incentrata sull'intramontabile conte Dracula.

La stanza dell'orco

Quindi, con un breve momento splatter presente già a partire dal prologo e volto a sfruttare subito la sensazione di rilievo conferita dalla visione tridimensionale, al centro della vicenda - sceneggiata dagli stessi Manetti insieme a Michele Cogo e Giampiero Rigosi - abbiamo Marco, Simone ed Ale; i quali, con le fattezze del Claudio Di Biagio della web-serie fantascientifica Freaks!, del Lorenzo Pedrotti visto in Imago mortis e del Domenico Diele di ACAB-All cops are bastards, sono amici di vecchia data in un quartiere nella periferia di Roma dove non succede mai niente.
Almeno fino al giorno in cui entrano in possesso delle chiavi della bellissima villa dello stranissimo Marchese Lanzi alias Peppe"Into Paradiso"Servillo, cliente dell'officina dove lavora Ale, nonché ricchissimo collezionista d'automobili d'epoca.
Infatti, consapevoli del fatto che il proprietario dovrà assentarsi per tutto il fine settimana, il terzetto non resiste e si tuffa senza limiti nel lusso della dimora; senza immaginare, però, che la cantina nasconda ciò che finisce per trasformare la loro bravata nell'avventura più terrificante che gli sia mai capitata.

Quella villa in fondo all'horror

E, al di là di un'apparizione di Antonio Tentori, sceneggiatore di Demonia di Lucio Fulci e dell'argentiano Dracula 3D, tra gli interpreti principali dei circa 108 minuti di visione abbiamo anche la Francesca Cuttica che, sotto la regia degli autori di Piano 17, già fu protagonista del fantascientifico - ma non troppo riuscito - L'arrivo di Wang.
Circa 108 minuti di visione che, non privi d'ironia nei dialoghi, si costruiscono su una prima parte basata in maniera principale sull'attesa, per poi sfociare in una seconda maggiormente concentrata sulla semina di cadaveri proto-slasher e lo spargimento di liquido rosso.
Con un'insostenibile sequenza di tortura su un capezzolo che, a opera del maestro degli effetti speciali Sergio Stivaletti, rischia già di rimanere all'interno della storia del cinema gore tricolore, discendente diretta - volontaria o involontaria - di quelle simili viste nel trashissimo Le notti del terrore di Andrea Bianchi e nell'ottimo Lo squartatore di New York, a firma del citato Fulci.
Anche se, in realtà, complice la fotografia di Gianfilippo"Non ti muovere"Corticelli, l'elemento vincente della quinta opera cinematografica manettiana è individuabile nella capacità di riportare a quelle atmosfere che caratterizzarono il nostro cinema dell'orrore negli anni Ottanta; ovvero proprio nel periodo in cui era in pieno svolgimento quella che, tra le produzioni della Filmirage di Aristide Massaccesi/Joe D'Amato e stracult a basso costo del calibro di Quella villa in fondo al parco di Giuliano Carnimeo, venne definita da una certa critica snob come la fase peggiore della nostra celluloide di genere, destinata a portarla al tramonto. Quando, invece, altro non rappresentava che i non disprezzabili tentativi di sopravvivere nel mercato della fiction, sempre più monopolizzato dalle major e dal piccolo schermo, attuati da coloro che l'exploitation italiana su pellicola avevano provveduto a renderla nota nel mondo e ai futuri Quentin Tarantino e Robert Rodriguez. Un po' come gli stessi Manetti continuano a fare, ora che la situazione è ancor più peggiorata, tramite operazioni come questa, caratterizzate da più pregi che difetti... fino a una sequenza dopo i titoli di coda.

Paura E’ non poco curioso il fatto che, durante la visione del quinto lungometraggio cinematografico diretto da Marco e Antonio Manetti, in arte Manetti Bros, si provi l’impressione di assistere a una vicenda il cui tenore generale non è affatto lontano da quello che caratterizzò molti dei racconti a fumetti pubblicati nei mitici Mostri e Splatter, periodici che invasero le edicole italiane nel periodo 1989-1991. E’ non poco curioso anche perché è proprio Michelangelo La Neve - sceneggiatore che collaborò attivamente a quelle pubblicazioni targate ACME - a firmare la storia animata posta nei titoli di testa del film, i quali giungono dopo un prologo immediatamente gore per introdurre circa 108 minuti di visione orchestrati con mestiere sulla lunga attesa pre-mattanza. Con un 3D probabilmente irrilevante e che, in un certo senso, a poco serve considerando l’effetto vintage reso in maniera efficace dall’operazione; ma anche un glaciale Peppe Servillo che, nel ruolo del carnefice di turno, regala un’inquietante interpretazione degna dei mostri sacri del genere. Quindi, chi aveva avvertito segnali di stanchezza nel fantascientifico L’arrivo di Wang (2011), precedente fatica manettiana, dovrà ricredersi, perché i fratellini romani sono tornati decisamente in forma.

7

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