Sembra un giorno come tanti, in fabbrica. E invece, come un fulmine a ciel sereno, arriva la notizia: lo stabilimento chiuderà. Tra i lavoratori si sparge panico e malcontento. Qualcuno dà anche in escandescenze. Tra questi il più focoso è Salvo (Francesco Pannofino), immigrato al Nord dalla Sicilia una vita fa e costretto ad una vita da operaio priva di soddisfazioni. Senza volere sentire ragioni, prende ad arrampicarsi su un pilone dell'impianto industriale e comincia la sua (non tanto) silente protesta: finché le sue ragioni non verranno rese pubbliche dal telegiornale non scenderà.
Il collega - nonché sindacalista - Giorgio (Roberto Citran) sale anch'egli per condurlo alla ragione e riportarlo giù, ma una serie di eventi lo tratterranno a oltranza in cima alla torre, e ai due presto si unirà l'autistico custode Luca (Carlo Giuseppe Gabardini). I tre passeranno così la notte insieme all'addiàccio, in attesa di giornalisti e Forze dell'Ordine, confrontandosi sui temi caldi della politica, dell'economia e della società degli ultimi trent'anni.
Fabbrica mon amour
L'ispirazione è dichiarata: Felice Farina, per la realizzazione del suo nuovo lavoro cinematografico, si è in un certo qual modo rifatto al classico di Alain Resnais Hiroshima mon amour, nel voler intercalare al dialogo e al confronto tra i suoi personaggi vari flashback di eventi da loro vissuti. La differenza è che questa volta non ripercorriamo l'orrore della guerra e dello scoppio dell'atomica sul Giappone ma alcuni dei fatti di cronaca (perlopiù nera) di maggior importanza del nostro paese occorsi nell'arco delle ultime tre decadi. Lo spunto di partenza è quello dell'omonimo libro di Enrico Deaglio, con i tre personaggi che si confrontano (e si scontrano) su temi caldi d'interesse comune. E il maggior pregio dell'operazione è proprio il voler mettere sullo stesso piano gli individui, al di là del loro credo politico: Salvo è uno sfegatato e irriducibile 'camerata' mentre Giorgio un comunista vecchio stampo, entrambi nostalgici e disillusi e accomunati dalla lotta di classe, prima ancora che da quella politica. Tutto il resto, però, nonostante l'impegno degli interpreti (il più convincente, dato che non è costretto per esigenze di copione a macchiette, è sicuramente Citran) è all'acqua di rose, dato che si va a sfiorare appena la superficie di argomenti sì importanti, ma dei quali non si racconta nulla di nuovo, di interessante o quantomeno di didattico: si spiattellano così stralci di documentario, di telegiornali, di interviste senza contestualizzarli per il grande pubblico, col risultato di annoiare chi già sa benissimo di cosa si parla e di confondere le idee ai più giovani a cui, invece, mancano quasi completamente i riferimenti temporali e culturali adatti.
Il romano Felice Farina, veterano del cinema italiano, si produce nell'ennesimo docufilm sulla recente storia italiana, ma nonostante i nobili intenti di realizzare qualcosa di originale e significativo il risultato finale è abbastanza insignificante, dato che la pellicola fatica a contestualizzare gli eventi per il proprio pubblico, senza inoltre offrire nulla di nuovo o interessante al suo pubblico. Rimane solo il sottotesto della lotta operaia che, arrivata a un certo punto, supera ogni barriera politica e unisce i lavoratori, ma tanto valeva svilupparlo in un film apposito.