Recensione Passion

Brian De Palma torna al thriller col remake de Crime d’amour

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Coloro che, nel 2010, ebbero modo di prendere parte alla Festa Internazionale del Film di Roma, potrebbero essersi imbattuti nella visione di Crime d'amour, diretto dal francese Alain Corneau già responsabile, tra l'altro, di Tutte le mattine del mondo (1991) e Il principe del Pacifico (2000).
Un dramma a tinte thriller che, immerso nel freddo ambiente degli asettici uffici di una multinazionale e strizzando in un certo senso l'occhio al poco conosciuto Office-killer - L'impiegata modello (1997) di Cindy Sherman, poneva in scena la sexy Ludivine Sagnier di Swimming pool (2003) nei panni di Isabelle Guérin, giovane dirigente in carriera agli ordini della potente manager Christine, con le fattezze della Kristin Scott Thomas de Il paziente inglese (1996), verso la quale nutriva una totale e sincera venerazione.
Un dramma a tinte thriller che, costruito in maniera progressiva sul rapporto tra le due protagoniste, destinato a divenire sempre più contrastante fino a trasformarsi in uno sconvolgente e perverso gioco di seduzione e dominio, sembra aver attirato l'attenzione di Brian De Palma, autore di Vestito per uccidere (1980) e Mission: impossible (1996), tanto da spingerlo a curarne un rifacimento.

Crime d’amour rebooted

Rifacimento che vede la Rachel McAdams di Sherlock Holmes (2009) nel ruolo di Christine e la Noomi Rapace di Prometheus (2012) in quello di Isabelle: la prima in possesso della naturale eleganza e della serena disinvoltura di chi è abituato ad avere a che fare con il denaro e il potere, la seconda bella e facilmente manovrabile, nonché sua protetta da cui ruba senza scrupoli le innovative idee all'avanguardia e sulla quale prova piacere nell'esercitare il proprio controllo; trascinandola, passo dopo passo, nel gioco sempre più intricato di seduzione e manipolazione, dominio e umiliazione di cui sopra.
Fino al momento in cui, dopo che Isabelle si è ritrovata a letto con uno degli amanti di Christine, si scatena la guerra tra le due e si approda ad un omicidio privo di colpevole.

Un thriller al cardio(De)Palma

Omicidio che, inscenato nella pellicola di partenza senza tentare un minimo di trasmettere tensione allo spettatore, come nei peggiori b-movie degli anni Settanta, viene invece raccontato da De Palma attraverso una affascinante sequenza-balletto che tanto ne ricorda una analoga vista in Puppet master-Il burattinaio (1989) di David Schmoeller.
Casualità o no, sta di fatto che anche la bella colonna sonora a firma di Pino Donaggio, in alcuni passaggi, ricorda quella composta da Richard Band per quel piccolo gioiellino incentrato su un gruppetto di burattini assassini.
Al servizio di un De Palma forse non eccessivamente originale, ma che, sfoggiando la consueta cura estetica, confeziona un'ora e quaranta circa di visione capace di coinvolgere lo spettatore, senza annoiarlo mai.
Merito in particolar modo del notevole ritmo narrativo conferito dal montaggio di François"Dancer in the dark"Gédigier, che provvede ad assemblare a dovere un insieme la cui prima fase si trova dalle parti del dramma erotico (con tanto di sesso saffico), mentre la seconda, destinata a tingersi di giallo, sfocia in una serrata corsa al colpo di scena finale non priva di echi del Dario Argento dei tempi d'oro.
Quindi, se il film di Corneau sfiorava non poco i connotati di un banale ed eccessivamente lento prodotto concepito per il piccolo schermo, Passion, al contrario, è pura macchina cinematografica a firma di un discontinuo esperto di alta tensione su celluloide che, lo si ami o no, sforna in questo caso una prova piuttosto convincente.
E la fotografia di José Luis Alcaine, recentemente illuminatore dell'almodóvariano La pelle che abito (2011), ne rappresenta uno dei suoi maggiori pregi, insieme alle performance delle due protagoniste.

Passion Cosa ha spinto Brian De Palma a rifare Crime d’amour (2010) di Alain Corneau? L’autore di Carrie-Lo sguardo di Satana (1976) risponde così: “Il fatto che si tratti di un thriller, il genere che meglio si presta alla narrazione per immagini, e il fatto di avere una nota divertente. E’, inoltre, un genere con il quale non mi cimentavo da ventidue anni, sin da Doppia personalità. Ho apprezzato i personaggi nel film di Alain Corneau, ma ho pensato a un modo diverso di rivelare l’omicidio. Ho riscritto la sceneggiatura in modo che ci fossero sorprese continue e molti possibili sospetti, affinché non si sia mai certi dell’identità dell’assassino. Ho anche elaborato alcuni trucchi per far sì che lo spettatore creda ad una cosa mentre, in realtà, ne sta succedendo un’altra”. E bisogna dire che, se la pellicola originale altro non era che un banale dramma a tinte thriller sulla letale lotta di potere tra due donne nello spietato mondo del business internazionale, questo rifacimento presenta le fattezze di un’esteticamente accattivante operazione di sicuro non innovativa, ma che coinvolge senza annoiare... tirando in ballo anche un certo (retro)gusto horror.

7

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