Recensione Pane e Burlesque

Crisi e biancheria intima retrò nel film di Manuela Tempesta con Sabrina Impacciatore

Recensione Pane e Burlesque
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Lo scenario d'ambientazione è un paese del Sud Italia destinato a navigare in cattive acque da quando la fabbrica di ceramiche Bontempi ha chiuso e i suoi ex operai giocano al fantacalcio nella storica sezione del centro gestita da Frida, ovvero Caterina Guzzanti, rappresentante sindacale impegnata nelle giuste cause, mentre a non riuscire ad andare avanti è anche la piccola merceria in cui lavora la sarta Teresa alias Michela Andreozzi, gestita da Vincenzo e sua moglie Matilde, rispettivamente con le fattezze di Edoardo Leo e Laura Chiatti.
Scenario alla deriva in cui, per vendere la proprietà di famiglia, irrompe dopo più di vent'anni di assenza Mimì La Petite, ovvero Giuliana, incarnata dalla mai disprezzabile Sabrina Impacciatore, che, figlia della "buonanima" del Cavalier Bontempi, si presenta insieme al suo gruppo di Burlesque, le Dyvettes, le quali ordiscono proprio contro di lei una truffa.
Con la conseguenza che, ritrovandosi con il conto in rosso, decide di mettere su un nuovo gruppo tutto biancheria retrò reclutando direttamente Matilde, Teresa e la giovane cameriera Viola, cui concede anima e corpo la Giovanna Rei il cui curriculum davanti all'obiettivo spazia da L'ultimo Capodanno (1998) di Marco Risi alla fiction televisiva Provaci ancora prof! (2013).

Squattrinate organizzate

Quindi, con il Marco Bonini di Diciotto anni dopo (2010) incluso nel cast, è in maniera evidente una sorta di risposta tricolore all'acclamatissimo Full monty - Squattrinati organizzati (1997) di Peter Cattaneo quello che prende progressivamente forma dinanzi alla camera di ripresa di Manuela Tempesta, qui al suo primo lungometraggio cinematografico ma con alle spalle esperienze di sceneggiatura in documentari del calibro di Pietro Germi - Il bravo, il bello, il cattivo (2009) di Claudio Bondi e Ritratto di mio padre (2010) di Maria Sole Tognazzi.
Una social-comedy, per la precisione, intenta a fare di bustini, calze e culotte il sensuale corredo vintage ad uno spaccato al femminile riguardante la tutt'altro che rosea situazione economico-sociale d'inizio XXI secolo; man mano che viene precisato da un lato che il Burlesque non è uno spogliarello, ma una suggestione, dall'altro che l'amore ti stringe lo stomaco come la gastrite, oltre a durare cinque minuti ed a lasciarti per anni gli occhi gonfi.
E la lunga gavetta artistica intrapresa dalla neo-regista - laureatasi al D.A.M.S. di Roma Tre con una tesi in Filmologia - è facilmente deducibile dalla lodevole cura estetica dell'insieme, capace di fare della propria varietà cromatica uno degli elementi che maggiormente rimangono impressi nella memoria dello spettatore una volta giunto al termine dei circa ottantasei minuti di visione.
Peccato, però, che a penalizzare il risultato finale sia la non sempre convincente gestione dei ritmi di narrazione, i quali tendono a far apparire non poco fiacca e priva di coinvolgimento la prima leggera parte dell'operazione, per scandire a dovere, invece, i momenti maggiormente volti al dramma e al retrogusto amaro posti nella seconda.

Pane e Burlesque “Mi aveva sempre affascinato il mondo del Burlesque ed il suo immaginario, legato a un meraviglioso universo femminile, dove bustini, calze e culotte dominano con charme, disegnando con eleganza la sfera dell’eros. Il mio intento, tuttavia, non era esclusivamente quello di realizzare un film sul Burlesque e su ciò che esso rappresenta: volevo raccontare la realtà italiana, la crisi economica e di identità che stiamo affrontando, con le sue difficoltà e le nuove sfide con le quali ognuno di noi è chiamato a cimentarsi. Soprattutto, volevo dar voce al mondo femminile ed al ruolo della donna all’interno della famiglia e della società contemporanea, rivelandone le fragilità e le potenzialità”. Così Manuela Tempesta spiega l’intento del suo primo lungometraggio da regista, che sfrutta un poker di protagoniste decisamente in parte per tirare su una coloratissima commedia sicuramente funzionale per quanto riguarda il proprio lato maggiormente volto al dramma e alla denuncia sociale, ma non convincente nei momenti in cui si punta, al contrario, alla leggerezza e alla risata. Confidiamo, comunque, in una seconda opera di una autrice che, evitando gli errori fatti in questa prima occasione, potrà sicuramente sfornare un prodotto più riuscito.

5.5

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