Recensione Pandemia

La fine del mondo secondo Lucio Fiorentino

Recensione Pandemia
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"Come genesi di Pandemia, inizialmente avevo alcune immagini di uomini che vagavano in una natura forte e selvaggia con la quale non hanno più nessun contatto. Poi è arrivata la suggestione che fossero circondati da qualcosa di enorme, ma in apparenza nascosto. Uomini che vivessero una vita svuotata di senso, senza tempo e in giornate uguali a se stesse, come in una lunga attesa. Lentamente, è arrivata l'idea che fossero dei sopravvissuti a un'enorme catastrofe arrivata con la pioggia, in attesa delle nuove piogge e forse della fine definitiva. Insomma, tranne che per la pioggia (almeno per ora non contaminata), è quello che siamo noi: sopravvissuti quotidiani in attesa della fine. Soltanto dopo ho iniziato a scoprire che le post-apocalissi sono un genere prolifico e antico quanto l'uomo anche se poco visitato dal nostro cinema. Poi, tutto si è spostato su come raccontarlo e qui il desiderio di uscire dai cliché e la mancanza di soldi mi hanno aiutato a spostare tutto su un piano interiore, come se la vera pandemia fosse dentro di noi".
Con queste parole, il napoletano classe 1969 Lucio Fiorentino, proveniente dall'universo dei cortometraggi e dei documentari, sintetizza il suo primo lungometraggio di finzione, che, con pochi soldi e molta voglia di fare, va ad inserirsi nel filone cinematografico costituito da pellicole riguardanti un mondo ormai alla deriva e nel quale è sempre più difficile rimanere in vita.

Apocalypse now

Infatti, ne sono protagonisti la Alice Palazzi di Notturno bus (2007) e il Marco Foschi de I soliti idioti: Il film (2011) rispettivamente nei panni di Lidia e Arno, giovani che, in cerca di un'esistenza migliore, intraprendono un difficile viaggio nel tentativo di sfuggire a desolazione e violenza; mentre è in atto un contagio le cui cause sono sconosciute e l'unica cosa di cui si è a conoscenza è il fatto che l'epidemia è arrivata con la pioggia, decimando la popolazione.
Uno scenario post-apocalittico nel quale si fanno sentire la scarsità di acqua potabile e di generi alimentari e al cui interno i superstiti, allo stremo delle forze, si trovano costretti al baratto di qualsiasi cosa pur di restare vivi.
Uno scenario post-apocalittico che, immerso in una ambientazione rurale per ovviare, probabilmente, alla pochezza di budget, può richiamare in parte alla memoria quello di The road (2009) di John Hillcoat, pur individuando i suoi dichiarati modelli ispiratori - tra cinema e letteratura - in Andrey Tarkovskij, Sátántangó (1994) di Bela Tarr e la "Trilogia della frontiera" di Cormac McCarthy.
Mentre è il montaggio del veterano Jacopo Quadri (Fuochi d'artificio di Leonardo Pieraccioni e The dreamers - I sognatori di Bernardo Bertolucci nel lungo curriculum) a scandire la quasi ora e mezza di visione, costruita su lenti ritmi di narrazione e volta a privilegiare i dialoghi rispetto all'azione, quasi inesistente.
Non a caso, mentre a dominare è una cupa atmosfera e ci si concentra in particolar modo sui rapporti tra i diversi protagonisti, è facilmente avvertibile un certo taglio fortemente teatrale; tanto più che, a emergere, è soprattutto la prova degli attori, comprendenti - in una partecipazione amichevole - addirittura la Hanna Schygulla di fassbinderiana memoria.

Pandemia Silenzio, poche parole, poco plot drammaturgico, atmosfere rarefatte, tempi dilatati. Può essere sintetizzato in questo modo il primo lungometraggio diretto da Lucio Fiorentino, vicenda post-apocalittica senza infamia e senza lode che, comunque, non lascia spazio a virus zombificanti e altri elementi tipici della più “commerciale” produzione cinematografica riguardante le micidiali epidemie. Il regista riassume così le proprie intenzioni: “Volevo che lo spettatore più che guardare questi uomini che si muovevano tra le cose ultime, vivesse profondamente e nelle viscere l'esperienza della sospensione dal tempo, dell'immobilità, della mancanza di futuro, dell'annullamento”.

6

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