Recensione Pale Moon

Al Torino Film Festival l'ultima opera di Daihachi Yoshida, reduce di due premi al Tokyo International Film Festival

Recensione Pale Moon
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Sono gli anni Novanta, e il Giappone si sta riprendendo dallo scoppio della bolla speculativa, ma la popolazione vive ancora in uno stato di forte recessione. Rika, una donna di origini piccolo borghesi che contribuiva al bilancio familiare lavorando part-time, inizia a lavorare a tempo pieno in banca. Il suo atteggiamento estremamente professionale e capace piace ai suoi clienti e ai suoi superiori e la donna inizia presto a guadagnare maggiori responsabilità. Nonostante la sua soddisfazione professionale, però, la donna prova un vuoto dentro di sé a causa dell'indifferenza dimostratale dal marito (un manager in carriera pronto a trasferirsi in Cina) e dalla conseguente mancanza di prospettive all'interno della coppia. Durante la visita ad un facoltoso cliente, Rika fa la conoscenza del giovane Kota, uno studente universitario strozzato dai debiti contratti per potersi iscrivere al college, con cui instaura una relazione adulterina. Per riuscire ad aiutarlo la donna sottrae una grossa somma dal conto del nonno del ragazzo, per poi donarglieli per estinguere i suoi debiti. Scoperto un meccanismo con cui riesce a sottrarre soldi dai conti dei propri clienti senza farsi scoprire, la tentazione di concedersi lussi e comodità diventa sempre più insaziabile e, mentre la sua percezione del valore del denaro nella sua vita quotidiana si fa sempre più distorta, Rika inizia a perdere il controllo, incamminandosi sulla strada della propria rovina.

Il valore del denaro

Vincitore del premio del pubblico e del premio per la migliore interpretazione femminile al Tokyo International Film Festival, Pale Moon è l'ultima opera del talentuoso regista Daihachi Yoshida, autore di The Kirishima Thing. Tratto dall'omonimo romanzo vincitore del premio Naoki di Mitsuyo Kakuta, Pale MoonRie Miyazawa, capace di ritrarre una donna semplice e senza alcuna aspettativa nella propria vita che poco alla volta viene risucchiata in un meccanismo più grande di lei. La Miyazawa, che si conferma come una delle attrici più complete del panorama contemporaneo giapponese, dona tutta se stessa al personaggio di Rika, una desperate housewife senza interessi che si trasforma poco alla volta in una spietata ladra e truffatrice. A guidare tutta la vicenda è la fascinazione verso il denaro, della semplice carta stampata dal valore ipotetico, che ad ogni modo tutto e tutti controlla. Proprio la percezione del valore diventa centrale nello sviluppo del film: dai primi acquisti di piccoli oggetti di scarsa qualità, pagati in contanti, fino alle giornate in alberghi lussuosi da milioni di yen, pagati con la carta di credito, la percezione del valore del denaro da parte della protagonista diventa sempre più tenue e intangibile. Rika arriva così a giustificare il proprio operato proprio perché sente che ciò che ruba non ha valore e che quindi non esistano delle vittime effettive. Nella sua visione del mondo sempre più fredda e cinica il sistema capitalistico viene così trasformato in un meccanismo (cor)rotto. Un tema che continuiamo a sentire attuale grazie anche da un forte parallelo tra la crisi del '94 e quella che ancora stiamo vivendo.
Partendo dal motto religioso "meglio dare che ricevere" il film di Daihachi Yoshida lo porta alle sue estreme conseguenze. Ciò che prima inizia come un gesto caritatevole si trasforma presto in una spirale discendente verso l'annullamento di sé. Il denaro si trasforma presto nella possibilità, non solo di aiutare gli altri, ma soprattutto in quella di soddisfare quei desideri che nemmeno si sapeva di avere. Il progressivo distacco dalla realtà e dai valori comuni porteranno così Rika ad una fuga da tutto e tutti. Un viaggio alla ricerca di una nuova sé stessa ma anche di una nuova scala di valori (forse) migliori.

Pale Moon Con Pale Moon Daihachi Yoshida si conferma come un autore maturo e capace di accompagnare con la sua regia l'eccezionale interpretazione di Rie Miyazawa, senza mai mettersi nel mezzo con eccessivi virtuosismi ma anzi spesso distaccandosi e lasciando in campo i propri personaggi pronti a parlare per sé stessi con i propri corpi e le proprie azioni. Unico difetto un finale forse troppo buonista, che non riesce a prendere una direzione precisa lasciando lo spettatore meno smaliziato con in mano un pugno di mosche. Ma forse di ciò sono specchio le stesse parole della protagonista: "tutto è una menzogna".

6.5

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